Il vento soffia sui parchi. E la polvere invade Taranto

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TARANTO – Il 16 luglio è stata una giornata di forte vento. Una di quelle che la Regione Puglia, nel piano di risanamento dell’aria per il quartiere Tamburi, ha ribattezzato con la dicitura inglese di “wind days”. Taranto è città di mare ed il vento è una sua caratteristica. Ci sono volte che soffia per giorni, senza dar tregua, gonfiando il mare che cambia colore minacciosamente, ma che alla fine resta sempre fedele a questa città e alla sua gente, proteggendola. Ma da queste parti, negli anni, anche un fenomeno naturale come il vento è diventato una specie di maledizione. Proprio come accaduto lo scorso 16 luglio, quando un maestrale con raffiche prossime ai 60-70 km/h, ha sferzato per l’intera giornata la città. Ma non soltanto essa.

Le foto pubblicate in queste pagine, scattate come sempre dalla nostra vigile e attenta eco-sentinella, ritrae un qualcosa di ampiamente conosciuto da tutti noi. Quello che vedete è il minerale proveniente dagli otto parchi minerali presenti nell’area del siderurgico (quattro ferrosi e quattro minerali) dove lavorano oltre 400 operai. Le cui polveri si diffondono travolgendo e ricoprendo tutto e tutti. Trasformando Taranto in uno scenario da deserto del Sahara. Ma queste foto dimostrano anche e soprattutto la veridicità di quello che andiamo ripetendo da tempo: ovvero che il barrieramento progettato e approvato per contenere le polveri dei parchi minerali, servirà a ben poco.

Il problema, così come il progetto in questione, non sono affatto nuovi: ne si parlava già nei famosi atti d’intesa (gennaio 2003, febbraio e dicembre 2004) sottoscritti da Ilva, Regione Puglia, Provincia, Comune di Taranto e sindacati, che regalarono alla famiglia Riva il ritiro della parte civile di Comune e Provincia nel 2005 dal processo che portò alla condanna dell’azienda da parte della Cassazione il 28 settembre dello stesso anno. La sollecitazione alla risoluzione del problema la ritroviamo anche nell’Atto d’Intesa Integrativo del 23 ottobre 2006, per poi vederlo ricomparire nel testo della famosa leggere regionale anti-diossina del dicembre del 2008.

Ma la verità è che l’Ilva ha sempre opposto strenua resistenza alla copertura dei parchi minerali. Per azienda, istituzioni e sindacati, sarà “sufficiente” costruire delle barriere frangivento lungo il perimetro dei parchi in concomitanza con il completamento delle famose colline ecologiche, per risolvere il tutto. Peccato però che così operando, ad essere intercettate sarebbero soprattutto le polveri pesanti aero disperse e solo nella misura del 50-70%. Per le polveri sottili, dunque, il problema rimarrebbe irrisolto.

E, “casualmente”, sono proprio queste ultime (PM 10-PM 2,5) le più cancerogene per la salute umana, in quanto più facilmente si incuneano nelle vie respiratorie veicolando sostanze altamente inquinanti. Inoltre, la disposizione di questi teloni avverrà a valle e non a monte dei parchi: ma anche qualora fossero stati posti a monte, in realtà i teloni avrebbero attuato più un’azione di “contenimento del vento”, che una vera e propria barriera contro la diffusione delle polveri, visto che saranno in grado di intercettare le correnti orizzontali e non quelle verticali.

Il “progetto” prevede anche un potenziamento dei meccanismi di irroramento e filmatura dei cumuli di minerali stoccati nei parchi: ma quando il vento soffia come l’altro giorno, c’è ben poco da fare. Non va poi dimenticato l’impatto paesaggistico che avrà la realizzazione di questo progetto: le barriere frangivento altro non sono che teloni dotati di un’altezza di ben 21 metri disposti per un’estensione di 1600 metri lungo il fronte delle strade per Grottaglie e Statte.

Non è un caso dunque se, lo scorso anno, le due centraline di monitoraggio di via Archimede e via Machiavelli (le più vicine all’area industriale) abbiano registrato superamenti dei limiti di legge previsti per la media giornaliera su base annuale di PM10: 40 in via Archimede e 45 in via Machiavelli. Quest’anno siamo già a quota 26 sforamenti: il tetto da non superare è sempre 35 sforamenti annui. Dati che nella pratica rappresentano un rischio sanitario per la popolazione esposta. Diversi studi (SIDRIA, APHEA, MISA 1 e 2, SISTI) hanno infatti accertato la correlazione tra aumento dei livelli di PM10 e diverse patologie nel breve periodo con effetti sia in termini di ricoveri che di decessi.

In ogni caso, il PM10 non dipende soltanto dal parco minerali, ma anche dall’area a caldo. La differenza delle polveri delle due aree, è visibile ad occhio nudo: quella rosa/rossastra che ha reso negli anni il cimitero di San Brunone e la zona industriale una paesaggio quasi da pianeta rosso come Marte, proviene dai parchi. La polvere nera che gli abitanti dei Tamburi si ritrovano giornalmente sui loro balconi e sulle loro macchine proviene dall’area a caldo.

E’ dunque abbastanza vigliacco oggi, abbaiare contro la magistratura. Perché il barrieramento è un progetto appoggiato da quegli stessi attori che oggi chiedono alla magistratura di fare il proprio dovere ma senza esagerare. Comune, Provincia, sindacati confederali, Confindustria, Regione Puglia & co. avrebbero dovuto pensarci prima, chiedendo in sede AIA l’inserimento della prescrizione della copertura dei parchi (dove invece venne inserito il barrieramento nel “Programma di interventi per la riduzione delle emissioni”).

D’altronde, il procuratore capo della Procura di Taranto Franco Sebastio, nella lettera inviata alle istituzioni dopo la perizia dei chimici nell’inchiesta in corso sull’Ilva disposta dal Gip Patrizia Todisco, non a caso parlò di “polveri che si diffondono in maniera non controllata dal parco minerali a cielo aperto, situato a pochi metri di distanza dal quartiere Tamburi”. I periti chimici, nella loro relazione, misero nero su bianco che “sono 668 le tonnellate di polveri che ogni anno si disperdono nell’atmosfera da questa area in cui l’azienda deposita piccole montagne di minerale di ferro e di carbone, materie prime che servono per la produzione dell’acciaio”. Zona che, secondo la relazione, per poter continuare ad operare “dovrebbe essere coperta e dotata di impianti di aspirazione e trattamento delle polveri emesse”.

Ecco perché poi, quando anche la Regione Puglia ci mette del suo, con l’approvazione del piano di risanamento dell’aria, tutto ci appare come una grossa presa in giro. Piano nel quale non si parla neanche della copertura totale dei nastri trasportatori, coperti solo in piccola parte, né della modifica del sistema di scarico dei minerali nel porto (altra piaga del tutto ignorata). Piano nel quale, senza apparente criterio, si parla di “ridurre le operazioni di caricamento, sforamento e spegnimento della cokeria di un 10%”; o che “gli accumuli di materiale dovranno essere delocalizzati in zona sufficientemente lontana dal centro abitato e dalla strada che separa il rione tamburi dallo stabilimento Ilva o ridotti del 19% rispetto alla giacenza media del 2011 allo scopo di limitare l’altezza massima dei cumuli e la conseguente asportazione di polveri per l’azione del vento”.

Ciò detto, oggi tutto appare cristallizzato in attesa di conoscere i provvedimenti del GIP Todisco. Magari però, se il sindaco in base al suo status di massima autorità sanitaria locale (previsto dalle leggi n. 833/1978 e n. 112/1998) e la Regione, con il piano di azione previsto dal Decreto Legislativo 155/2010, fossero intervenuti in tempo per tutelare la salute e la sicurezza dei cittadini di Taranto, oggi staremmo qui a scrivere un’altra storia. E non di una città sommersa e corrosa dalle polveri. Nel cuore e nell’anima.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 25 luglio 2012)

Oltre alle inequivocabili immagini fornite dall’ecosentinella ci sono anche i dati di Arpa Puglia a testimoniare quanto il 16 luglio sia stato un giorno infernale sul fronte PM10. Riportiamo due tabelle relative a via Machiavelli  (la prima) e via Archimede (la seconda), entrambe collocate nel quartiere Tamburi. Come potete notare per tre giorni consecutivi – dal 12 al 14 luglio – in via Machiavelli c’è stato il superamento del valore limite (50 µg/m3). Problema che si è acutizzato proprio il 16 luglio (giorno indicato nell’articolo del collega), quando il valore riscontrato è più del doppio rispetto al limite, e si è protratto anche il 17. Dati critici anche in via Archimede tra il 16 e il 18 luglio con punte oltre 75 µg/m3. (A. Congedo)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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