Cosa dice la sentenza della Cassazione del 2015 alla base del concetto della crudeltà di cui Turetta non è stato accusato

L’aggravante della crudeltà, nel caso dell’omicidio della Cecchettin, non è stata riconosciuta a Turetta. Bisogna capire la giurisprudenza.
Nelle ultime ore si è accesso un dibattito molto sentito per quanto riguarda le motivazioni depositate dai giudici sull’omicidio di Giulia Cecchettin.
“Fa la differenza riconoscere le aggravanti, perché vuol dire che la violenza di genere non è presente solo dove è presente il coltello o il pugno. Ma molto prima. E significa che abbiamo tempo per prevenire gli esiti peggiori”. Ha detto Elena Cecchettin su Instagram.
Da questo spunto molti hanno ricordato il concetto di “vittimizzazione secondaria” che nel 1979 aveva introdotto l’avvocato Tina Lagostena Bassi in un caso di stupro.
Questo per far capire che la vittima è una parte lesa e non può essere ulteriormente oltraggiata in quanto donna. Concetto che torna prepotentemente in auge se intrecciato al femminicidio.
La giurisprudenza cosa dice
I giudici hanno motivato la sentenza di Turetta in base a quanto stabilito da una sentenza del 2015. Qui la prima sezione penale della Corte di cassazione si era soffermata sulla rapporto tra la sussistenza della circostanza aggravante della crudeltà (art. 61 n. 4 c.p.) e il numero di colpi inferti alla vittima.
Si legge: “ la mera reiterazione dei colpi inferti (anche con uso di arma bianca) non può determinare la sussistenza dell’aggravante dell’aver agito con crudeltà se tale azione non eccede i limiti connaturali rispetto all’evento preso di mira e non trasmoda in una manifestazione di efferatezza, fine a se stessa“; motivo per cui “non vi è, nè vi potrebbe essere, da parte della giurisprudenza di questa Corte la fissazione di un preciso limite “numerico” dei colpi inferti, oltrepassato il quale l’omicidio può dirsi aggravato dall’aver agito con crudeltà, essendo invece necessario l’esame delle modalità complessive dell’azione e del correlato elemento psicologico del reato posto in essere“.

Quale è il limite della crudeltà
La Cassazione ha riconosciuto che sopprimere una vita è un fatto crudele de facto e quindi diventa complesso stabilire i confini della crudeltà per l’aggravante del codice penale.
Per questo indica che bisogna guardare il caso, capire se l’omicida volontariamente voleva far soffrire la vittima più del dovuto e non tanto la quantità di colpi inferti. Forse un paradosso, se si parte dalla premessa che uccidere qualcuno è già crudele in sé, ergo l’aggravante in questo caso è già in atto. Dimostrare il sentimento interiore di un assassino nei confronti della vittima non è così semplice.