Per valutare la qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo, rispetto a molte sostanze inquinanti, esistono vari metodi. Il più utilizzato è quello dell’analisi delle matrici ambientali procurate tramite campionamento diretto dell’operatore o tramite l’impiego di centraline automatiche capaci di prelevare a intervalli prestabiliti campioni da analizzare in laboratorio.

Siamo abituati ormai da anni a leggere e interpretare i dati di ARPA Puglia che giornalmente ci forniscono indicazioni sulla qualità dell’aria in alcune zone di Taranto in cui sono installate le centraline di monitoraggio ambientale.

Il limite legato all’uso delle centraline è dato soprattutto dalla limitatezza dei dati riferiti ad una specifica area territoriale che potrebbero essere influenzati da interferenze locali quali traffico, elevata o scarsa circolazione d’aria, microclima.

Un metodo forse più affidabile e oggettivo è quello della valutazione indiretta dell’inquinamento ambientale attraverso ì bioindicatori. Si tratta di organismi viventi animali e vegetali particolarmente sensibili a determinate sostanze che possono generare effetti di vario genere quali modificazioni genetiche, alterazioni morfologiche, limitazioni di crescita e diffusione, accumulo di metalli o composti organici.

Per decenni, inconsapevolmente, sono stati purtroppo gli abitanti di Taranto i principali bioindicatori del territorio. Malattie respiratorie, cardiache e tumori con incidenze superiori alla norma sono stati la dimostrazione di danni biologici a cui essi andavano incontro, oltre all’accumulo di sostanze tossiche nei loro organismi.

Negli anni, soprattutto quando vi era una scarsissima attenzione per i livelli di inquinanti immessi nell’ambiente, alcuni studi hanno per esempio dimostrato maggior presenza di piombo nelle urine degli abitanti dei quartieri più prossimi all’area industriale oppure maggiore presenza di diossine e PCB nel latte materno in alcuni quartieri di Taranto.

Lo studio Lucchini dell’Università di Brescia, in collaborazione con il Dipartimento di prevenzione della Asl di Taranto, ha misurato alcuni parametri neurologici come la capacità di attenzione e il quoziente intellettivo di oltre 300 bambini di Taranto di età compresa tra 6 e 12 anni, evidenziando differenze significative condizionate probabilmente anche della distanza di residenza dall’area industriale e delle concentrazioni di piombo nel sangue, oltre che dalle condizioni di base socio economiche.

Altro esempio di bioindicatore capace di assimilare e accumulare quantità di inquinanti è quello dei molluschi e in particolare i bivalvi filtratori. Conoscono bene la questione i mitilicoltori di Taranto costretti a non poter utilizzare il primo seno del Mar Piccolo per tutto il ciclo biologico che porta a maturazione il Mytilus edulis e il galloprovincialis per evitare che essi assorbano livelli di diossine e PCB oltre i valori consentiti.

Altro esempio di forte impatto: gli oltre 1200 ovini nelle cui carni furono riscontrati elevati livelli di diossine tali da renderne necessario nel 2008 l’abbattimento e il trattamento come rifiuti speciali. A parte i bioindicatori umani, i mitili e le pecore, da decenni i ricercatori ambientali utilizzano soprattutto i licheni (organismi simbionti tra un fungo eterotrofo e un’alga o un batterio autotrofo) per valutare la qualità di aria, acqua e terra in determinate aree.

In presenza di inquinanti (soprattutto anidride solforosa e biossido di azoto), i licheni tendono a ridurre la loro biodiversità, riducendo il numero di specie presenti fin quasi a scomparire (deserto lichenico). Essi, inoltre, in situazioni di stress ambientale, presentano una crescita ridotta e morfologia alterata e nel tempo hanno la capacità di accumulare al loro interno le sostanze inquinanti.

La prescrizione AIA numero 93 impone prima ad Ilva in amministrazione straordinaria e poi ai successivi gestori la creazione di una rete di biomonitoraggio. Nel 2013, Ilva affidò l’incarico di realizzare tale rete alla società operante nel settore delle indagini ambientali Terradata che da allora prende parte regolarmente alle riunioni del Tavolo tecnico sul biomonitoraggio.

Terradata ha installato in un’area che comprende tutta la zona industriale, la città, terra delle Gravine, fino al bosco delle Pianelle, cinque reti di biomonitoraggio con utilizzo anche di altri bioindicatori quali germinelli di tabacco, cavolo e aghi di pino.

L’obiettivo è quello di valutare la presenza e l’interferenza sui campioni biologici degli inquinanti (anidride solforosa, sostanze azotate, PCB, diossine, Ozono, metalli pesanti) sia prima degli interventi AIA, sia dopo che parte di essi siano stati attuati, con particolare riferimento alla copertura dei parchi minerali.

Fino ad ora sono state portate a termine alcune campagne di biomonitoraggio: quelle del 2014 e del 2016 hanno dato indicazioni di biodiversità e bioaccumulo attraverso impiego di licheni e germinelli di tabacco. Non è dato visionare i risultati dettagliati di tali campagne. Da quanto si evince dai verbali del Tavolo per il biomonitoraggio dell’Osservatorio permanente sulla attuazione delle prescrizioni AIA, a Taranto è presente una situazione di “deserto lichenico” con una scarsa biodiversità tipica delle zone industriali.

Si segnala un minimo miglioramento nella campagna del 2016 rispetto a quella del 2014. Si segnala inoltre nei licheni bioaccumulo di ferro e vanadio, maggiormente nelle aree più prossime alla grande industria. La campagna di biomonitoraggio del 2017 che prevedeva l’impiego di bioindicatori quali cavolo e aghi di pino ha mostrato un lieve peggioramento delle concentrazioni di PCB, IPA e PCCD/F rispetto alla campagna del 2015 .

L’aumento di queste sostanze altamente pericolose e cancerogene richiede ulteriori approfondimenti essendo complessa l’interpretazione e la validazione dei dati. Approfondimenti e chiarimenti che, come verbalizzato nell’ultimo Tavolo sul biomonitoraggio dello scorso dicembre arriveranno con la terza campagna di studio che si effettuerà nel biennio 2023-2024.

Questo il cronoprogramma illustrato dal Responsabile del progetto di Terradata dottor Brunialti:

– Tra marzo e aprile 2023 saranno condotte le indagini sul bioaccumulo (PCDD/F, IPA e PCB) sulle piante di cavolo;

– Ad aprile verrà effettuata l’indagine sugli aghi di pino per valutazione del bioaccumulo (PCDD/F, IPA e PCB);

– Da giugno a settembre si procederà all’indagine di bioindicazione con i licheni;

– Da giugno a settembre verrà realizzata l’indagine sul bioaccumulo (metalli/elementi in traccia) mediante trapianti di licheni;

– Da giugno ad ottobre sarà condotta la campagna di bioindicazione dell’ozono con piante di tabacco;

– Seguirà una successiva fase di analisi chimiche ed un Report finale entro aprile 2024.

I laboratori incaricati delle analisi saranno il Centro Analisi C.A.I.M. con sede operativa a Follonica che è già stato coinvolto nelle precedenti campagne, e il laboratorio, Tentamus Agriparadigma S.r.l. con sede operativa a Ravenna che non ha partecipato alle precedenti indagini.

Aspettiamo quindi la conclusione del biomonitoraggio per comprendere il trend della qualità ambientale a Taranto. Resta un rammarico: l’inadeguatezza e l’assenza delle strutture di ricerca a Taranto, incapaci di agire autonomamente per mettere in atto studi sul territorio che invece altrove, in aree certamente meno critiche, vengono normalmente svolti.