Taranto Zona di Sacrificio: lo dice l’ONU

Ingiustizia e sfruttamento sono forse le parole più frequenti che si trovano scritte nel Rapporto ONU dell’ottobre scorso “The right to a clean, healthy and sustainable enviroment: non-toxic enviroment” (Il diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile: ambiente non tossico) di cui tanto si parla in questi giorni a Taranto per ragioni delle quali non possiamo certo vantarci.

Il rapporto, infatti, analizza e denuncia la condizione di estremo rischio ambientale e sanitario a cui sono sottoposte molte aree del nostro Pianeta. Rischio causato dall’eccessivo inquinamento e sfruttamento di territori spesso tra i più poveri e sottomessi al ricatto occupazionale degli abitanti.

Circa nove milioni di esseri umani muoiono ogni anno a causa dell’inquinamento, 15 volte di più della somma delle vittime causate da guerre e omicidi in tutto il mondo. Un decesso su 6 è causato da elevata esposizione a sostanze tossiche.

Sono soprattutto le aree più povere del Pianeta a sopportare il peso delle malattie legate all’inquinamento e le comunità generalmente più svantaggiate all’interno dei singoli Stati. 750.000 lavoratori ogni anno perdono la vita per la massiccia esposizione a sostanze tossiche durante i cicli produttivi.

Lo smaltimento su scala globale di scorie pericolose è in forte crescita e dal 2000 al 2017 è raddoppiata la produzione di sostanze chimiche. Malgrado la ricerca scientifica abbia confermato la pericolosità di alcuni composti chimici ed elementi naturali, alcuni di essi continuano ad essere impiegati su larga scala e in molti casi, seppur vietati nei Paesi più ricchi, vengono liberamente esportati in quelli più poveri, dove l’attenzione per i diritti alla salute e alla salvaguardia ambientale sono scarsi.

E’ il caso di molte sostanze contenenti piombo, estremamente neurotossiche e responsabili di oltre un milione di morti all’anno e di danni irreversibili sullo sviluppo cognitivo dei bambini.

Nuove sostanze chimiche sintetizzate (plorifluoroalchiliche, microplastiche, idrocarburi policiclici aromatici, nanoparticelle) si diffondono ormai senza controllo nell’uso di tante attività umane.

Schiume antincendio, rivestimenti idrorepellenti, grassi sintetici, sono definite “sostanze chimiche per sempre” perchè hanno tempi di degradazione lunghissimi e vengono assorbite dagli esseri viventi, accumulandosi nei vari livelli della catena alimentare.

Tutti noi accumuliamo nell’organismo diverse decine di sostanze chimiche che raggiungono organi bersaglio e interferiscono col corretto funzionamento del sistema immunitario.

L’estrazione dei combustibili fossili e l’agricoltura intensiva favoriscono il maggior rilascio di sostanze tossiche nell’ambiente.

Contaminanti tossici vengono ormai ritrovati dai ricercatori in ogni dove, dalle cime dell’Himalaya al fondo della Fossa delle Marianne.

Ormai assorbiamo sostanze tossiche attraverso l’aria che respiriamo, il cibo che consumiamo e addirittura attraverso la pelle. Neanche i neonati vengono risparmiati: i veleni infatti possono attraversare il cordone ombelicale del feto.

Noi tarantini sappiamo bene come gli inquinanti aumentino il rischio di morte prematura, cancro, malattie cardiovascolari, ictus, malattie autoimmuni ed endocrine e di come certe sostanze interferiscano col normale sviluppo cognitivo dei bambini.

Il rapporto ONU sottolinea come l’inquinamento su larga scala non sia proprio democratico, non colpendo in egual misura tutte le aree del Pianeta, ma concentrandosi nelle aree più povere e sfruttate.

Perfino all’interno dei Paesi più ricchi, vi possono essere aree destinate, più o meno intenzionalmente a divenire luogo di sfruttamento e inquinamento. E, scendendo ulteriormente nel dettaglio, all’interno di queste aree svantaggiate, saranno i più umili a diventare forza lavoro in quei processi produttivi più a rischio per la salute.

L’ingiustizia sociale viagga quindi in parallelo con l’ingiustizia ambientale e al maggior rischio per la salute.

Il Rapporto ONU lancia quindi una forte accusa a governi e privati che, per puri interessi economici, non si fanno alcuno scrupolo nello sfruttare intere popolazioni. Gli esempi sarebbero tantissimi, dallo Zambia al Pakistan, dal Cile al Bangladesh, da alcune aree della sterminata Cina alle città industriali della Romania.

“ZONE DI SACRIFICIO” le definisce l’ONU, aree destinate a soffrire più di altre per precise scelte dei governi, spesso complici di privati senza scrupoli. Il ricatto occupazionale è spesso l’arma utilizzata dagli “sfruttatori ambientali” per prolungare la vita di impianti produttivi inquinanti e pericolosi. “La continua esistenza di ZONE DI SACRIFICIO è una macchia sulla coscienza collettiva dell’umanità”.

Taranto è indicata nel rapporto ONU come esempio di una di queste zone.

Si legge nel Rapporto: “L’acciaieria Ilva di Taranto, in Italia, ha compromesso la salute delle persone e violato i diritti umani per decenni scaricando grandi volumi di inquinanti atmosferici tossici.

I residenti nelle vicinanze soffrono di elevati livelli di malattie respiratorie, malattie cardiache, cancro, disturbi neurologici debilitanti e mortalità prematura. Le attività di pulizia e bonifica che dovevano iniziare nel 2012 sono state ritardate al 2023 , con il governo che ha introdotto decreti legislativi speciali che consentano all’impianto di continuare a funzionare.

Nel 2019, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha concluso che l’inquinamento ambientale continuava, mettendo in pericolo la salute dei richiedenti e, più in generale, quella dell’intera popolazione che vive nelle aree a rischio.”

Non ci voleva certo l’ONU per spiegarci la situazione di Taranto che i lettori di Inchiostro Verde ben conoscono, ma fa comunque impressione ritrovare l’esempio dell’inquinamento della nostra città tra le peggiori situazioni a livello mondiale.

Il Rapporto spiega che generalmente le popolazioni delle ZONE DI SACRIFICIO non hanno forza e capacità per ribellarsi ad un sistema che le opprime. Ebbene, speriamo che almeno su questo l’ONU si sbagli e che prima o poi Taranto si difenda e risorga.

Giuseppe Aralla

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Giuseppe Aralla

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