Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Environmental Science and Pollution Research (https://rdcu.be/cGDW6) dimostra, per la prima volta in maniera diretta e con un approccio clinico, che il rischio di mortalità in pazienti ospedalizzati per COVID-19 dipende dai livelli di inquinamento atmosferico di biossido di azoto (NO2), inquinante prevalentemente prodotto dal traffico veicolare e dal riscaldamento domestico alimentato da fonti fossili.
L’esposizione a questo inquinante nelle settimane precedenti il ricovero è in grado di generare alterazioni del sistema immunitario e di aumentare il rischio di mortalità in pazienti con polmonite COVID-19, in maniera indipendente dall’età.
Primo autore dello studio è Agostino Di Ciaula, Presidente del Comitato Scientifico dell’International Society of Doctors for Environment (ISDE Italia). I risultati ottenuti direttamente dalla valutazione clinica di pazienti affetti da COVID-19 rafforzano ipotesi già formulate da studi precedenti di tipo epidemiologico e suggeriscono che l’inquinamento atmosferico può favorire l’infezione virale e condizionare un’evoluzione sfavorevole della malattia in pazienti costretti al ricovero.
Considerazione di rilievo derivante da questo studio è che misure di prevenzione primaria finalizzate a ridurre l’inquinamento atmosferico, specie in ambito urbano, potrebbero significativamente ridurre la vulnerabilità individuale e la gravità dell’infezione, soprattutto in soggetti a rischio.
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