Qualcuno forse si era illuso che il decreto sull’immunità penale per gli attuali gestori del siderurgico di Taranto non sarebbe arrivato entro il 6 settembre, limite ultimo per non chiudere lo stabilimento da essi minacciato?

Nessuno sicuramente lo credeva tra quelli che seguono da anni le vicende dell’ex Ilva. Meraviglia poi la delusione del sindaco Melucci per la mancanza di attenzione alla “questione Taranto” tra i 26 punti citati nel programma di governo.

Melucci non è certo uno sprovveduto e ha partecipato a decine di Tavoli per Taranto dove le promesse di attenzione per la nostra città si sono quasi sempre tradotte, come d’altronde c’era da aspettarsi, in poco o niente e, comunque, in aiuti insufficienti per migliorare davvero lo stato della nostra città.

In cosa è cambiata Taranto negli ultimi anni? I giovani decidono di restare? L’offerta universitaria è realmente aumentata o ci si è fermati alle promesse di nuove facoltà? I lavori per il nuovo ospedale sono realmente partiti?

Per la Città vecchia è in atto un vero piano pubblico di restauro e valorizzazione del patrimonio architettonico che non si fermi ai soli palazzi di pregio ma che comprenda anche le centinaia di edifici abbandonati e pericolanti e che quindi rafforzi le tante iniziative dei privati?

Vi è minore disoccupazione? Il numero di cassintegrati è diminuito? Vi è stata una ripartenza dell’economia? Nuove attività sono nate? I trasporti sono stati rafforzati? La situazione di rischio sanitario è migliorata? Le bonifiche hanno fatto grandi passi avanti?

Il Mar Piccolo è stato disinquinato? La gestione dei rifiuti è migliorata? La presenza turistica è cresciuta in modo percepibile e tale da portare beneficio tangibile agli operatori del settore?

Ma soprattutto, la popolazione percepisce un certo miglioramento oppure vi è un malcontento generalizzato sulle condizioni della nostra città?

Il sacrificio che Taranto sopporta, inteso come abnorme presenza industriale, si traduce in concreti benefici per la popolazione residenziale? Stando ai numeri no.

Reddito pro capite, disoccupazione, calo della popolazione, nuove attività imprenditoriali, presenza turistica, sono tutti numeri non migliori di quelli riferibili alle altre città pugliesi e spesso sono addirittura peggiori.

Chi vive a Taranto gode di bei tramonti, della vista di un mare stupendo, magari anche del calore della gente del sud, ma spesso questo non basta per definire una buona qualità di vita.

I Giochi del Mediterraneo del 2026 ci porteranno qualche impianto sportivo di buon livello: speriamo che questi non restino ciliegine in una torta andata a male e che soprattutto vi siano, a Giochi terminati, risorse sufficienti per la manutenzione e per rendere accessibili le strutture costruite alla popolazione, visto che spesso non siamo stati in grado di manutenere impianti sportivi già esistenti.

Taranto ha bisogno di una svolta, indipendentemente dal futuro dell’industria. La presenza dell’industria non può essere né un alibi per i problemi della città e neanche un’arma di ricatto per chiedere sempre aiuti calati dall’alto.

Gli aiuti a pioggia, non inseriti in un progetto globale di trasformazione e sviluppo, non servono a cambiare in modo radicale il volto di Taranto e a migliorare significativamente la qualità di vita dei suoi abitanti e sono destinati ad essere fuochi di paglia in un deserto cittadino.

La politica locale deve ragionare su idee che portino cambiamenti lenti e costanti, perché una città non si trasforma in tempi brevi.

Bisogna però capire quale dovrà essere il punto di arrivo, quale l’obiettivo finale a cui tendere.

L’impressione è che a Taranto, da decenni ormai, si proceda a tentoni. Città industriale? Vocazione turistica? Polo tecnologico? Città marinara? Tutte le cose insieme?

Non lo sappiamo e neanche ci viene detto da chi ci amministra verso quale futuro dovremmo andare. L’impressione è che la vaghezza regni sovrana a Taranto.

Rimaniamo sempre in quel limbo di incertezza che non ci trasforma e che ci lascia legati alla nostra attuale condizione di città dell’acciaio.

Nuovi cassintegrati, rifacimento degli impianti industriali, rischio sanitario, emigrazione:tutti temi attuali, ma sono anche gli stessi problemi che si affrontavano negli anni ‘70 e poco da allora è cambiato a Taranto.