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Via della seta: cosa c’è da aspettarsi dall’accordo tra Cina e Italia?

La via della seta sarà presto una realtà, annuncia Di Maio dopo l’accordo firmato con il Presidente Xi Jinping. Qualcuno obietta che più che della seta, la via potrebbe essere del poliestere e cioè del sintetico che già ora invade i nostri negozi con capi di abbigliamento provenienti dalla Cina.

Da quel Paese importiamo già quasi tutto e abbiamo un disavanzo commerciale di quasi 15 miliardi di euro che il governo spera, almeno in parte, di recuperare. La via della seta non toccherà il porto di Taranto anche se il vice ministro ai Trasporti Edoardo Rixi  ha paventato l’ipotesi che il modello di accordo che coinvolge Genova e Trieste possa essere replicato per altri porti italiani, soprattutto quelli riconosciuti come Zone economiche speciali, tra cui Taranto, cui la Cina guarda con molto interesse.

Ipotesi future, quindi. Intanto, come spesso capita, il Sud viene ancora una volta penalizzato e a pesare su questa esclusione avrà forse inciso anche la mancanza di vie di comunicazioni adeguate che colleghino Taranto al Nord. Niente treni ad alta velocità e rete autostradale inadeguata alle esigenze di rapidità dei trasporti.

Taranto d’altronde aveva già avuto la sua occasione di diventare porto strategico con l’Oriente con la movimentazione di migliaia di container della società Evergreen che, per diverse ragioni logistiche e operative,  dopo qualche anno di attività, ha preferito trasferirsi a Bari.

Tornando all’accordo con la Cina, aumenteranno gli scambi commerciali e culturali: automobili di lusso, abiti firmati, produzioni artistiche, macchinari ad alta tecnologia, agroalimentare troveranno maggiori sbocchi in Oriente con grande gioia di produttori e industriali nostrani che con la globalizzazione stanno ormai imparando a convivere traendone addirittura vantaggio.

Inoltre, studenti italiani potranno perfezionare i loro studi in Cina e così faranno i loro colleghi asiatici in Italia. Tutto questo in previsione di una futura intensificazione dei rapporti tra i due Paesi in un quadro più generale di grande crescita economica cinese che presto potrebbe superare, per valore di scambi effettuati con l’Europa, l’economia americana.

Siamo inoltre alla vigilia del lancio della tecnologia 5G per la telefonia e internet che, malgrado smentite e rassicurazioni a margine del trattato appena firmato, farà della Cina il vero padrone mondiale delle telecomunicazioni.

Un accordo importante quello appena firmato che, seppur con qualche mal di pancia, potrebbe servire all’Italia per regolamentare meglio una importazione dalla Cina che fino ad ora ci penalizzava soltanto.

Ma di quale vantaggio per l’Italia si parla di più nei telegiornali? Vien quasi da sorridere, ma è proprio così: l’esportazione delle arance siciliane in Cina! In molti avranno pensato che in quel Paese tutti andranno matti per le nostre arance che forse saranno una rarità pregiata.

Ebbene, la Cina è il terzo produttore mondiale di arance e ne produce oltre 15 milioni di tonnellate annue contro gli 1,5 milioni di tonnellate nostrane. L’origine stessa dell’arancio è cinese e il suo nome scientifico Citrus sinensis significa letteralmente cedro della Cina.

È quindi più probabile che prima o poi saranno le arance cinesi a invadere i nostri mercati! Ma la domanda è: ma davvero una arancia prodotta a Palermo deve viaggiare in aereo migliaia di km per arrivare sulle tavole cinesi? E la CO2? E il cambiamento climatico? Questa volta gli esperti in comunicazione del governo hanno forse sbagliato a elevare un’arancia viaggiatrice a simbolo di un accordo che forse avrà ben altri vantaggi più importanti e meno impattanti per l’ambiente.

Giuseppe Aralla

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Giuseppe Aralla

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