Ex Ilva, PeaceLink parte offesa: si costituisce parte civile per il nuovo procedimento penale
L’accusa è di particolare rilevanza: “grave disastro ambientale” che avrebbe creato un “grave pericolo per la pubblica incolumità”. Gli imputati sono nove e il faro acceso dalla magistratura punta su quanto è avvenuto dal 1995 a oggi vicino alla discarica Mater Gratiae dell’ILVA, situata fra Taranto e Statte. PeaceLink è stata individuata dalla magistratura come “parte offesa” e come tale è stata ufficialmente avvisata dal GUP (giudice udienza preliminare) Pompeo Carriere dell’udienza preliminare che si terrà alle ore 9 del 28 gennaio 2019 nell’aula d’udienza GUP, a Taranto in via Marche al piano terra.
PeaceLink il 28 gennaio si costituirà anche parte civile nel nuovo procedimento penale in quanto, come parte offesa, è riconosciuta dalla magistratura quale associazione da anni attenta e attiva sulla questione delle discariche e della contaminazione del territorio, avendo presentato vari esposti in Procura.
Con l’udienza preliminare del 28 gennaio è prevedibile l’apertura di un nuovo fronte giudiziario su questioni di grande rilevanza in quanto la magistratura accusa gli imputati di aver contaminato acque e terreni destinati ad attività agricola mediante cumuli di rifiuti, con il relativo dilavamento di sostanze velenose che sarebbero finite anche nella falda.
E’ stato il pubblico ministero Mariano Evangelista Buccoliero a richiedere l’emissione del decreto che dispone il giudizio nei confronti dei nove imputati che hanno lavorato nell’ILVA con incarichi di particolare responsabilità.
Gli imputati sono accusati di un “medesimo disegno criminoso” in concorso fra loro relativo allo sversamento di circa 5 milioni di tonnellate di cumuli di rifiuti pericolosi e non pericolosi di origine industriale situati sull’argine sinistro della Gravina Leucaspide (tra Taranto e Statte) e della mancata messa in sicurezza di diverse discariche abusive a cielo aperto relative agli stessi rifiuti. Si tratta di un enorme quantitativo di rifiuti, corrispondente al peso di circa 5 milioni di automobili.
Secondo l’accusa questo sarebbe avvenuto senza alcuna documentazione, senza coperture per evitare la dispersione di polveri pericolose per la salute e senza le dovute precauzioni per evitare la dispersione nella falda del percolato. Ciò avrebbe causato un grave disastro ambientale provocando l’inquinamento dell’ambiente circostante e delle acque pubbliche torrentizie, oltre a quelle meteoriche che dilavavano i cumuli dei rifiuti, trasportando le sostanze nocive, inquinando in tal modo sia i terreni che la falda e causando un “grave pericolo per la pubblica incolumità”.
Va da sé che gli imputati godono della presunzione d’innocenza, ossia del principio giuridico secondo il quale un imputato è considerato non colpevole sino a che non sia provato il contrario.
Quello che tuttavia oggettivamente tutti possono vedere con i propri occhi percorrendo la Gravina Leucaspide è la distruzione di una zona di grande pregio paesaggistico e naturalistico che doveva essere sottoposta a vincoli e alla relativa tutela. Il Pubblico Ministero traccia un quadro impressionante descrivendo cumuli di rifuti di oltre trenta metri sul piano campagna che sono franati, precipitando nella gravina e deviando il corso d’acqua che l’attraversava, deturpando l’ambiente e inquinando sia i terreni che la falda.
Questa vicenda non è solo una questione giudiziaria ma descrive in modo spietato e crudo l’incuria per beni comuni millenari e preziosi. Tutto questo è stato fatto senza alcuna considerazione per le generazioni future. E’ una storia terribile che ha visto tante persone voltarsi dall’altra parte. Noi no. PeaceLink ha tenuto gli occhi aperti e sarà la sentinella di quella parte della comunità che non accetta più simili atteggiamenti incivili.
La recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Straburgo – che ha dato ragione ai cittadini – ci incoraggia ad andare avanti perché a Taranto nessuno goda più dell’impunità.
Fulvia Gravame, resposabile del nodo PeaceLink di Taranto
Alessandro Marescotti, presidente di PeaceLink