Dal 2015 al 2018, il molo polisettoriale di Taranto è passato dall’assenza di prospettive alle speranze concrete.
All’abbandono di Evergreen, infatti, oggi corrispondono le opportunità offerte da Yilport, una multinazionale solida e vivace, operante nel settore del transhipment con competenze tali da poter incidere sullo sviluppo dell’infrastruttura ionica con un progetto di lungo termine.
L’Autorità Portuale di Taranto, con il conforto dei numeri è orientata ad affidarle la concessione demaniale con una prospettiva cinquantennale che farebbe bene al porto e all’intero territorio. Siamo convinti che tale scelta sarebbe oculata, ponderata e sgombererebbe il campo dalle incertezze: un investimento da mezzo miliardo di euro, destinato all’ammodernamento delle strutture portuali, è una ragione sufficiente. Lo è, soprattutto, di fronte alle alternative che dal 2016 sono state prospettate all’Autorità.
Nessuno tra i quattro soggetti che hanno presentato domanda di concessione, nemmeno l’ultimo in ordine di tempo, il consorzio Southgate Europe Terminal (SET), è in grado di offrire le medesime garanzie di Yilport. Nessuno tra loro, infatti, acquisirebbe in gestione l’intera infrastruttura, condizione insufficiente per poter offrire a territorio e lavoratori (500, che ancora per poco potranno usufruire di ammortizzatori sociali) le prospettive cui tutti auspichiamo.
Nonostante questa evidente differenza, il consorzio SET ha manifestato l’intenzione di ricorrere contro l’eventuale decisione dell’Autorità Portuale a favore di Yilport. Decisione che, è bene ricordarlo, perseguirebbe l’interesse pubblico generale di attrarre investimenti e, conseguentemente, favorire le attività dell’indotto e l’occupazione diretta. Una contesa che non avrebbe ragion d’essere, a guardare i numeri delle due realtà: un capitale consortile di 4mila euro contro un capitale sociale di 443 milioni di dollari.
Eppure, fermo restando il sacrosanto diritto di far valere le proprie ragioni, questo ricorso costringerebbe nel limbo della burocrazia un’opportunità di sviluppo che non possiamo farci sfuggire. Ci auguriamo solo che dietro esso non si celino opportunismi, perché in tal caso dovremmo fare i conti con la stessa miopia che ha impedito negli anni lo sviluppo organico e alternativo del territorio, lungo uno di quegli assi che abbiamo definito come sue vocazioni naturali, insieme all’agricoltura e al turismo.
Resteremo vigili sulla vicenda, offrendo tutto il nostro contributo affinché l’odiosa “ammuina” che ci ha bloccati, e che continua a farlo, lasci il campo alla voglia di fare.