Taranto: tra il Reddito di Cittadinanza e la speranza di un’industria 4.0
TARANTO – Abbiamo solo le stime del Sole 24 Ore sul numero di famiglie che nelle diverse province italiane avranno i requisiti per richiedere il reddito di cittadinanza.
La provincia ionica sarà, in buona compagnia con altre province meridionali, tra quelle che occuperanno la prima parte della classifica nazionale per maggior percentuale di famiglie con i requisiti di povertà tali da rientrare nel provvedimento del governo.
Circa 30.000 famiglie nel tarantino hanno redditi tali da non garantire un minimo di vita dignitosa. Una buona parte di esse (si stima circa la metà del totale provinciale) è concentrata nel Capoluogo.
Considerando che in queste famiglie quasi sempre nessun componente ha un lavoro vero e proprio, sarà davvero alto il numero di persone coinvolte in questa sorta di sperimentazione di integrazione minima al reddito.
D’altronde, questo dato non fa altro che confermare quel che già sapevamo: Taranto, addirittura in modo maggiore di altre città del Sud, soffre di una mancanza cronica di occupazione, soprattutto giovanile.
Poche imprese che assumono e minimi investimenti da parte degli imprenditori rendono stagnante la nostra economia. La nuova gestione dell’acciaieria (da alcuni benedetta perché generatrice di benessere economico per la città) ha addirittura portato tagli nel numero di occupati totali.
Nulla da ridire su questo provvedimento del Governo che in teoria dovrebbe dare una boccata di ossigeno a tanta gente che fa fatica a sopravvivere dignitosamente e addirittura dovrebbe favorire (ipotesi questa però abbastanza improbabile) il collocamento dei disoccupati grazie alla mediazione delle Agenzie del Lavoro che verranno potenziate.
Il vero problema, che sarà tema dominante della politica nei prossimi anni, è la trasformazione del mondo del lavoro. Precarietà e automatizzazione dei processi produttivi stanno velocemente sconvolgendo gli equilibri tra domanda ed offerta di lavoro.
Le imprese, in qualunque settore, tendono ormai a proporre contratti esclusivamente a termine o, comunque, sempre meno vincolanti per durata, grazie anche alle recenti riforme del job acts.
Il “posto fisso” è ormai un retaggio del passato e chi entra per la prima volta nel mondo del lavoro quasi certamente cambierà diverse volte nella propria vita azienda e addirittura mansione.
Automazione e robotizzazione nei cicli produttivi, inoltre, tagliano sempre più posti di lavoro. Dall’agricoltura al manifatturiero e addirittura nel terziario, cresce in modo esponenziale l’utilizzo di macchine che sostituiscono il lavoro degli uomini.
Persino laddove si sfruttava manodopera a basto costo, come per esempio nei campi di pomodori o angurie, è più conveniente ormai utilizzare macchine agricole capaci di svolgere in poche ore il lavoro che avrebbe impegnato tanti lavoratori per giorni.
A questo punto, almeno nei paesi più sviluppati, si dovrebbe affrontare la questione lavoro e reddito con un approccio diverso rispetto a quello tradizionale.
Il reddito non può più essere legato alla produttività e all’impegno orario dei lavoratori, ma deve piuttosto essere legato alla specializzazione di questi e deve rappresentare, per la massa dei lavoratori, una forma di ridistribuzione della ricchezza che, senza idonei interventi, tenderà ad accumularsi sempre più nelle mani di pochi.
È evidente che il reddito di cittadinanza può rappresentare una valida forma di sostegno a chi si trova penalizzato da questa trasformazione del mondo del lavoro che taglia sempre più personale.
Certamente però non può essere il rimedio valido per sempre, ma soltanto un modo per tamponare momentaneamente una situazione di emergenza che necessita di soluzioni a livello mondiale
Aspettiamoci quindi, per i prossimi decenni, grandi rivoluzioni che sono già iniziate nelle grandi metropoli europee e nelle aree produttive in cui più si investe nel cambiamento.
Smart cities e industria 4.0 saranno la sfida per il futuro. Informatizzazione, ottimizzazione dei trasporti, architettura capace di razionalizzare al meglio gli spazi, utilizzo di energie rinnovabili ed eco sostenibilità ambientale cambieranno le nostre vite nelle città del futuro e il modo di produrre delle industrie.
In un tale mondo futuro è ovvio che cambierà il concetto stesso di lavoro che abbandonerà del tutto gli attuali schemi per trasformarsi in qualcosa che si spera sarà più gratificante e meno faticoso per tutti.
I tempi per questa rivoluzione saranno certamente lunghi e forse solo i più giovani riusciranno a vivere l’era 4.0. Cambiamento delle città, delle industrie e del lavoro: una sfida per il mondo che potrebbe rappresentare una vera e propria strategia di sopravvivenza per l’Uomo.
L’abbandono del fossile darà probabilmente il via a questo processo di trasformazione della nostra civiltà. Speriamo quindi davvero che l’Italia riesca ad agganciare il treno del cambiamento che per ora, dalla città che funziona ancora a petrolio e carbone, sembra davvero lontano.