La pista di pattinaggio gratis per i bambini, magari la sponsorizzazione della squadra di calcio e perché non metterci il carburante a prezzo ridotto? Se poi volessimo fare le cose per bene potremmo pagarci il restauro della Città Vecchia o il rifacimento dell’asfalto stradale con i soldi elargiti dalla grande industria a Taranto.
E poi scuole di formazione tecnica per lavoratori, così da mantenere qui qualche giovane che altrimenti andrebbe via. Probabilmente queste iniziative avrebbero successo in questa città depressa e moribonda.
Potremmo farci adottare definitivamente dall’industria e rafforzare quel processo simbiotico che da decenni ci lega a fumi e ciminiere. Ci sarebbe qualche resistenza iniziale forse, ma alla lunga, questa politica industriale di captatio benevolentiae trionferebbe.
Dimenticavo, non dovrebbe mancare però qualche concerto gratis e qualche festa della birra (la più amata) sponsorizzati per conquistare proprio il cuore dei tarantini.
D’altronde a Taranto è da decenni che la presenza industriale ci plasma fisicamente e culturalmente.
Eccessi di mortalità nella popolazione, calo delle nascite e trasferimento verso altre città di tantissimi giovani incidono sulle caratteristiche proprie della popolazione.
È come se nella nostra città stesse avvenendo una selezione naturale, più o meno come quella descritta da Darwin nei suoi Appunti sulla trasformazione della specie.
Gli abitanti di Taranto si speciano e alcune caratteristiche tendono a diventare dominanti e più vantaggiose per chi le possiede.
Lentamente, generazione dopo generazione, la popolazione acquisisce sempre maggiore propensione a convivere con la grande industria.
Nelle aree più prossime alle industrie resistono i soggetti più forti rispetto ai danni fisici da inquinamento.
I più geneticamente predisposti ad ammalarsi purtroppo spesso non ce la fanno e rappresentano quelle percentuali anomale di decessi che da anni caratterizzano i vari rapporti della ASL sullo stato di salute della popolazione tarantina e sulle statistiche ISTAT.
Non solo selezione naturale della popolazione attraverso la resistenza fisica, ma anche selezione a seconda della volontà e della possibilità economica di andare via dalla nostra città per studio o per lavoro.
In particolare, in un’area economicamente depressa e incapace di differenziare la sua economia, in tanti vanno via per studiare nelle università del Nord e per cercare di realizzare quei progetti che qui non trovano sviluppo.
Migliaia sono negli ultimi anni i tarantini che sono emigrati e neanche l’arrivo di tanti extracomunitari riesce a compensare il calo demografico che osserviamo.
Chi resta lo fa spesso perché non ha forza e mezzi per andare via o perché, comunque, il legame con la propria terra ha il sopravvento.
In queste condizioni l’industria vince per forza. E se qualche sussulto di ribellione e insofferenza per la monocultura industriale scuote Taranto, è lo Stato che interviene ripristinando l’ordine stabilito.
Decreti e leggi ad hoc ci ricordano che il binomio Taranto – industria è inscindibile ma, per grazia ricevuta, potremo beneficiare, per questo, di qualche aiuto economico. Taranto è in vendita e il prezzo non è troppo alto.
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