Industria si, industria no: Taranto nella trappola di una dicotomia
Gira e rigira il problema di Taranto è sempre quello: la presenza invadente ed esagerata della grande industria. È una presenza che ci condiziona fisicamente e psicologicamente.
Il “siderurgico” è riuscito ad avvelenare non solo l’ambiente, ma anche la coscienza della città e ad inasprire il nostro modo di pensare. Idee, progetti, investimenti che si propongono a Taranto vengono spesso analizzati e valutati soltanto attraverso la lente deformata dai fumi dell’industria che ci sballano più di quelli di una droga.
Si pensa di incentivare in qualche modo il turismo? E subito viene da obiettare che l’industria limita la capacità di attrarre visitatori. Si pensa di migliorare l’efficienza del porto? Qualcuno maligna che sia un progetto solo funzionale agli interessi della grande industria.
Nuove facoltà universitarie a Taranto? A che servono se qui c’è la monocultara dell’acciaio? Nuovo ospedale? Si, per curare i danni provocati dalla grande industria. E così via, gli esempi potrebbero essere tantissimi.
Qualunque iniziativa politica, culturale, civica viene vivisezionata, analizzata e catalogata in base a una visione pro oppure anti-industriale. Politici, professionisti, lavoratori, giornalisti, addirittura prelati, a Taranto si trovano ad essere collocati nello scenario cittadino a seconda del loro porsi rispetto al tema principale: l’industria.
Industria si, industria no è nella nostra città quasi un’ideologia, un diverso pensiero che divide in modo trasversale la nostra società e rallenta qualunque processo di sviluppo perché mette le persone contro facendo perdere di vista ciò che è meglio per la città.
Succede allora che perfino ottime iniziative e progetti di sviluppo vengono rallentati e criticati “a prescindere” perché chi se ne fa promotore appartiene al pensiero diverso.
Tanto per citare un esempio concreto, prendiamo l’emendamento del M5S presentato nella Legge di Bilancio appena approvata che dispone la formazione di un Istituto di Ricerca a Taranto sulle energie alternative.
Tre milioni all’anno per tre anni e competenze al MIUR per l’organizzazione e la gestione di esso. Sicuramente non è il massimo per cambiare Taranto, su questo penso siamo tutti d’accordo.
Nove milioni di euro sono briciole se li confrontiamo alle centinaia di milioni stanziati per Genova o a ciò che arriverà a Milano per sviluppare progetti di ricerca negli spazi ex EXPO.
Ma, tutto sommato, è già qualcosa per una città in cui nulla si muove, se non i tir carichi di acciaio e di benzina. La notizia, che in una città normale sarebbe forse stata accolta quasi da tutti positivamente, a Taranto ha provocato reazioni contrastanti e immediate critiche, comprese le mie, confesso.
In una città che va ancora a carbone e a petrolio che senso ha un mini progetto del genere? Ecco che, anche in questo caso, la valutazione dell’iniziativa politica viene inquadrata nel più ampio quadro della disputa ideologica che ci sovrasta.
Come superare quindi questo atteggiamento che fa male alla crescita culturale ed economica di Taranto? Forse, il primo passo lo dovrebbe fare la politica e soprattutto la politica che governa a livello nazionale.
A Taranto ci vorrebbe umiltà e discrezione da parte di chi presenta questo tipo di progetti, senza la spocchia di chi pensa di aver fatto più del proprio dovere, enfatizzando un risultato che neanche lontanamente ripaga la città dai danni subìti.
Ben vengano a Taranto investimenti pubblici e diversificazione dell’economia e di ciò dovremmo esserne tutti contenti ma, per favore, non vantatevene troppo e non fatene vostri successi, cari rappresentanti locali del governo. Tutto sommato state facendo il minimo sindacale. Solo così si può forse uscire dal vicolo cieco in cui ci troviamo.