Acquedotto del Triglio: la Taranto che perde pezzi di storia e di memoria

Crolla un pezzo di acquedotto del Triglio, crollano le case abbandonate della Città Vecchia, resta poco del patrimonio archeologico distrutto dai palazzinari nei decenni scorsi. Taranto colonia greca, Taranto città antica, le cui origini si perdono nella notte dei tempi.

Per fortuna c’è il Museo Archeologico (ora MArTA) che da fine ‘800 ha salvato il salvabile impedendo la totale dispersione di un patrimonio storico che in parte ritroviamo nelle collezioni pubbliche e private di tutto il mondo.

E per fortuna c’è la Marina militare che ha salvato e valorizzato parte del Castello Aragonese dopo lo scempio fatto a fine ‘800 quando fu abbattuto il torrione Sant’Angelo.

In verità di siti archeologici di grande interesse storico ve ne sono tanti a Taranto: tombe a camera in via Sardegna, via Umbria, via Alto Adige; la Cripta del Redentore di via Terni; i resti di una villa romana sul Lungomare; parte delle mura greche; gli ipogei dell’Isola; tanto altro ancora sparso in tutti i quartieri della città.

Moltissimo è stato distrutto dalle ruspe nei decenni scorsi, quando un nuovo palazzo valeva più di qualunque reperto archeologico. Rispetto ad altre città Taranto è stata sfortunata: ha conservato solo una minima parte di ciò che le antiche civiltà le avevano lasciato in eredità.

Altre città hanno saputo conservare di più e valorizzare molto meglio perfino testimonianze di un passato di minor pregio.

Basti pensare ad un intero anfiteatro in buona parte distrutto e sepolto sotto tonnellate di cemento nel centro della nostra città. Lecce, al contrario di Taranto ha invece saputo valorizzare il suo anfiteatro, facendone bella mostra e rispettando il valore di un sito archeologico simile.

Il crollo di una arcata dell’antico acquedotto del Triglio ci può pure stare, non è questo l’aspetto più scandaloso della gestione del patrimonio archeologico e storico di Taranto.

D’altronde, quella piccola parte emergente dei diversi chilometri per lo più sotterranei dell’acquedotto che, da tempi remoti e fino a tempi più recenti, dal territorio di Crispiano portava fino a Taranto, passando per Statte, l’acqua di sei sorgenti, era un vero miracolo architettonico di staticità.

Esso, in parte ricostruito nell’800, costeggiava la strada di grande percorrenza Taranto-Statte. Migliaia di camion carichi di mondezza diretti alla discarica di Statte e centinaia di camion provenienti dalle cave di inerti la percorrono ogni anno, determinando vibrazioni dell’antica struttura e l’aggressione dei mattoni da parte dei fumi di scarico.

Già molto compromesso, l’acquedotto ha probabilmente subito il colpo di grazia con le abbondanti piogge dei giorni scorsi che ne hanno minato, nel tratto crollato, la stabilità.

Il muro di cinta di Ilva con i suoi parchi minerali poco distanti e le enormi ciminiere a vista contrastano non poco con un acquedotto millenario che ne ha viste passare di tutti i colori e che è sopravvissuto a guerre e devastazioni, ma che forse si arrenderà all’incuria di una Taranto distratta e a volte incapace di difendere il suo patrimonio archeologico.

Caro acquedotto del Triglio, possiamo solo ringraziarti per il piacere che tante volte avrai offerto a chi si è dissetato con le tue acque, per il ristoro che grazie a te avrà ricevuto il viandante, per il fresco delle sorgenti lontane che sarà giunto nelle assolate giornate estive di una Taranto che non esiste più.

Nel tempo in cui ci dissetiamo utilizzando bottiglie di plastica e lattine e in cui è un gesto ovvio aprire un rubinetto per lavarci, abbiamo forse dimenticato del tutto il valore che un’opera come quella dell’acquedotto del Triglio rappresentava per i nostri avi.