Liberi e Pensanti: essere quasi totalmente fuori dall’Ilva non significherà abbassare la guardia
La realtà non è quasi mai soltanto quella che si mostra ad un primo sguardo anzi, spesso, dobbiamo grattare la superficie per vedere cose che non scopriremmo mai se ci accontentassimo delle apparenze. E noi non siamo abituati ad accontentarci di facili interpretazioni.
Ad oggi, se ci limitiamo a una prima occhiata, è iniziata per l’Ilva, per Taranto, la gestione ArcelorMittal. Ad accontentarsi di leggere le varie missive recapitate in vario modo ai dipendenti, tutto si sta svolgendo secondo contratto, secondo accordi firmati. Tutto procede, come sbandierato da governo e sindacati, dal 6 settembre scorso, nel miglior modo possibile e soprattutto secondo legge.
Noi andavamo e andiamo oltre queste apparenze conoscendo le dinamiche di una fabbrica che può cambiare pelle ma non il suo impianto di gestione di potere, radicato nel suo tessuto da decenni più delle stesse sostanze inquinanti. Di fatto, i numeri previsti dal 6 settembre sono rispettati, nel quadro generale degli stabilimenti Ilva.
Dietro i numeri però ci sono le persone e se andiamo a guardare meglio, i criteri con cui sono stati selezionati i lavoratori sembrano aver subito un rimescolamento in cui non è semplice ristabilire un ordine e una priorità. Parità di requisiti non hanno comportato parità di trattamento e questo è un dato talmente evidente e non fondato su timori o sospetti che persino i sindacati locali chiedono chiarezza e minacciano proteste.
Veniamo al dunque. Il Comitato è impegnato dal 2 agosto 2012, con tutti quelli che nel tempo ne hanno fatto parte, a denunciare le carenze macroscopiche di ogni tutela del lavoratore all’interno della fabbrica, dalla mancanza di sicurezza sul lavoro e gli infortuni mortali lo provano oltre ogni presunzione, alla mancanza di osservanza di quelle pratiche operative e di manutenzione che ha portato al disastro ambientale per cui sono in corso procedimenti giudiziari.
Di certo le critiche che oggi il Comitato muove alla pretesa “nuova” gestione non hanno niente a che vedere con le disposizioni lavorative perché, documenti alla mano, sin dall’inizio delle trattative col il futuro acquirente, gli operai del Comitato hanno cercato di portare chiarezza in quella brodaglia di rassicurazioni con cui i sindacati confederali hanno abbeverato i lavoratori, trattandoli da bestiame dallo scarso quoziente intellettivo, fino alle ultime assemblee tenutesi a ridosso di un referendum farsa, dove si è votato a scheda aperta e alla presenza dei delegati, nella perpetrazione di una delle tante irregolarità macroscopiche, correntemente in uso nella grande Ilva S.p.A.
Detta in soldoni, se c’è qualcuno che non si sorprende di ciò che accade dietro le quinte del “Tutto in regola”, è proprio il Comitato. Questo però non rende esenti dall’osservazione, – casomai legittima e sostanzia – non lo sterile “ve l’avevamo detto” ma una serie di iniziative anche legali volte a far definitivamente luce tanto sulla dichiarata regolarità del passaggio di consegne, tanto sulla presunta impossibilità di una chiusura spudoratamente millantata e poi negata dall’attuale governo, quello del Non cambiamento, per intenderci.
Non suoni come una minaccia ma come la nostra solita presa di responsabilità: essere quasi totalmente fuori dall’Ilva non significherà abbassare la guardia o modificare gli obiettivi che per noi restano invariati: chiusura delle fonti inquinanti e bonifica di impianti e siti con il reimpiego di tutta la forza lavoro.
Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti