Ilva, Di Maio ha scaricato i cinque parlamentari tarantini ma loro non se ne sono accorti

A Genova chiusero in fretta e furia le cokerie. Erano tutti d’accordo: dalla magistratura al ministero. Allora il direttore generale all’ambiente era Corrado Clini. Anche per lui le mamme avevano ragione: gli impianti erano incompatibili con la vita umana. La penserà diversamente qualche anno dopo, da ministro dello stesso dicastero, difendendo la produzione a Taranto (per poi ammettere che suo figlio al quartiere Tamburi non l’avrebbe mai fatto vivere). Gli impianti di Genova furono trasferiti a Taranto e rimessi in funzione come se nulla fosse.

Oggi come allora gli operai liguri vengono super garantiti. Grazie a un accordo di programma sottoscritto da tutte le istituzioni, dal momento in cui chiusero l’area a caldo, il loro reddito non è mai stato messo in dubbio. Ed è qui che i parlamentari Cinque Stelle liguri e tutte le istituzioni, ancora una volta, nelle scorse settimane hanno portato a casa un importante risultato: la strenua difesa di quell’accordo che oggi è anche nel contratto con Mittal.

Gli esuberi riguarderanno solo lo stabilimento di Taranto, così come l’inquinamento. La vittoria è anche di quei pentastellati che si sono battuti a Genova per difendere quanto avevano conquistato.

Vince anche Matteo Salvini che ha difeso gli interessi della sua terra, dove la Lega è forza di governo insieme al centrodestra. È anche per questo che sale nei sondaggi, a differenza del M5S che invece scende, non soltanto per la becera campagna d’odio sulla pelle degli ultimi che solletica i sentimenti meno nobili degli italiani. Di fronte a tutto questo il destino appare davvero beffardo, per quanto logico e giusto, per carità, se si considera che il ponte Morandi verrà ricostruito con l’acciaio di Mittal, probabilmente uscito dagli altoforni di Taranto.

Di tutto questo dovrebbero prendere atto  i parlamentari tarantini. Il loro “spaesamento” degli ultimi giorni non ha giustificazioni perché hanno in mano da tempo tutti gli strumenti per farsi una idea, per valutare, e per evitare i pomodori in faccia della piazza arrabbiata.

L’accordo con una forza razzista e anti meridionale come la Lega non poteva portare nulla di buono per la loro città. Eppure hanno taciuto e difeso il re. Lo hanno fatto nonostante la scarsa considerazione che ha avuto di loro Luigi Di Maio in questa vicenda, soprattutto negli ultimi giorni.

Eppure non è giusto che il conto delle promesse fatte con grande faciloneria dal Cinque Stelle siano loro a pagarlo. Perché sia chiaro: dopo dodici leggi salva Ilva in barba alla Costituzione pur di garantire la produzione e imbavagliare i giudici non ci si può trincerare, come ha fatto il ministro del lavoro, dietro le colpe del precedente Governo e di un contratto già firmato.

La rimozione dell’immunità penale richiedeva un semplice decreto, lo stesso strumento  legislativo usato per introdurla. Avrebbe fatto scappare Mittal (come la stessa azienda ha ammesso nell’incontro al Mise con le associazioni tarantine del mese scorso). Nessuna multinazionale sarebbe venuta a fare acciaio a Taranto rischiando di dover rispondere alla giustizia.

Il governo Conte-Di Maio-Salvini aveva in mano tutti gli strumenti per far saltare il “delitto perfetto” di Calenda e iniziare a scrivere il cronoprogramma per la progressiva chiusura, smantellamento e bonifica degli impianti formando per queste mansioni gli stessi operai delll’Ilva.

Si è scelto di non percorrere questa strada e l’impressione è che ai parlamentari tarantini del M5S non sia stato concesso neanche il lusso della verità, di conoscere prima il cambio di rotta. Viene da chiedersi addirittura se sapessero che tre giorni fa Di Maio, sindacati e azienda fossero chiusi nelle stanze del Mise fino a notte fonda per trovare la quadra.

Loro che comunque, dal primo istante, hanno cercato di tenere la barra dritta, almeno sulle promesse fatte a Taranto. Ma questo tra un po’ nessuno lo ricorderà perché la politica è crudele se non si è all’altezza delle sfide che si è scelto di affrontare. Se non si è in grado di dire “no”. Se non si è disposti a far saltare il tavolo quando qualcuno prova a fregarti.

E non ha molto senso trincerarsi dietro la penale da 100 mila euro che il Movimento avrebbe fatto sottoscrivere ai parlamentari in caso di abbandono del Cinque Stelle. È incostituzionale perché nessuno può limitare la libertà di chi deve rispondere solo agli elettori. Su questo si fonda una democrazia parlamentare.  Dimissioni quindi? Sì, ma anche un “scusateci, ci hanno fregato”, per iniziare, non sarebbe male.

Gianluca Coviello

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