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Ilva, Taranto allo specchio: la sua vera anima da che parte sta?

TARANTO – Ci si può disamorare di un sogno così come accade nei confronti di un uomo o di una donna. E accade non perché viene meno il sentimento, ma perchè – col passare del tempo – questo amore comincia a essere contaminato da rabbia e amarezza. Le aspettative, spesso, sono le peggiori nemiche della nostra felicità. E quando lasciano il passo alle delusioni ci sentiamo feriti e sopraffatti, inesorabilmente sconfitti.

E’ ciò che prova chi, come noi, ha cullato per anni il desiderio di un’Ilva finalmente chiusa e resa innocua. Una grande fabbrica in disarmo che ritira i suoi tentacoli restituendo spazi vitali alla città. E in certi momenti – mi riferisco in particolare all’estate del 2012 quando l’inchiesta “Ambiente Svenduto” sfociò nel sequestro dell’area a caldo – è sembrato quasi di sfiorarlo quel sogno.

La magistratura si stava  muovendo nella direzione auspicata dalla parte più ecologista della città, mentre la politica vedeva emergere nuovi paladini: uomini e donne finalmente schierati dalla parte della salute e dell’ambiente.  Eppure, nel fare qualche passo avanti, la città ha sempre finito per compierne cento indietro, a dispetto delle evidenze scientifiche che dimostrano i danni sulla salute prodotti dai veleni industriali.

Non è un caso che alle ultime elezioni amministrative (2017) abbia prevalso un candidato sindaco di centro-sinistra, in piena continuità con la politica filo-industriale delle precedenti amministrazioni comunali. E allora, viene da chiedersi: cosa è davvero cambiato da quando (aprile 2013) la gran parte dei tarantini  snobbò il referendum sulla chiusura dell’Ilva?

All’epoca il quorum rimase a distanze siderali: andarono a votare solo 32mila tarantini, il 19,5 per cento degli aventi diritto. Oggi cosa accadrebbe? Davvero si otterrebbe un risultato (decisamente) migliore? O continuerebbe a prevalere la paura nei confronti di quello che viene percepito come un “salto nel vuoto”? La verità è che, nonostante i buoni propositi di tanti volenterosi, il consenso nei confronti del Piano B deve ancora maturare in maniera prepotente al punto da inchiodare i governanti alla responsabilità di un rivoluzionario cambiamento.

Fanno bene i collaboratori di InchiostroVerde (da Giuseppe Aralla a Massimo Ruggieri) a puntare il dito contro coloro che hanno venduto una merce non ancora il loro possesso (la chiusura dell’Ilva e riconversione economica) salvo poi ripiegare su una più mite richiesta di ambientalizzazione. Ma la verità va detta tutta: se M5S a Taranto ha preso percentuali ben oltre il 40%, non bisogna dare per scontato che tutti i suoi elettori volessero la fine del Siderurgico. Pensate a quanti operai Ilva hanno votato per il movimento di Di Maio senza immaginarsi una prospettiva così drastica.

A allora dobbiamo porci una domanda fondamentale:  cosa vuole davvero Taranto per il suo futuro? E’  pronta a lanciare il cuore oltre l’ostacolo e a superare i propri limiti smettendo di dare sempre la colpa ad altri? E, soprattutto: qual è la vera Taranto? Quella delle centinaia,  a volte migliaia, di persone che partecipano ai sit-in contro l’inquinamento (il prossimo è in programma il 6 settembre in piazza della Vittoria) o quella che diserta sistematicamente tutte le manifestazioni?

 

Alessandra Congedo

Direttore responsabile - Laureata in Scienze della Comunicazione all'Università del Salento con una tesi di laurea dal titolo “Effetti della comunicazione deterministica nella dicotomia industria/ambiente”, incentrata sulla questione ambientale tarantina. Ha collaborato con il TarantOggi, Voce del Popolo, Nota Bene, Radio Cittadella (SegnoUrbano On Air), Corriere del Mezzogiorno, Manifesto. Ha curato l’ufficio stampa del WWF Taranto per il progetto “Ecomuseo del mar Piccolo”. Il 21 novembre 2013 è stata premiata nella categoria “Giornalismo” nell’ambito della Rassegna Azzurro Salentino. Ha partecipato a "Fumo negli occhi", documentario sull'Ilva e sull'inchiesta "Ambiente Svenduto".

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Alessandra Congedo
Tags: ilvataranto

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