Siamo alla vigilia del giorno finale. Lo storico bivio fra Ilva aperta e Ilva chiusa sta per essere imboccato, ma senza alcuna svolta storica. Chi ha promesso il cambiamento sta già facendo il carico di alibi alla ricerca di una credibilità che non verrà mai raggiunta e che, in compenso, lascerà macerie insostenibili.

Non solo una scia di malattie e morti appena inferiore a quelle decretate dai “poteri forti” che l’hanno preceduto, ma anche dei cocci politici enormi da smaltire. Già, perché ora chi potrà mai persuadere i tarantini che le cose si possono cambiare per davvero e che per questa maledetta e maltrattata città può davvero essere scritto un destino diverso?

Lo scoramento di tanti, risvegliato solo dalle promesse di una classe politica fresca e apparentemente combattiva, tornerà ad essere frustrazione e rifiuto alla partecipazione. Cosa ci restituiscono questi mesi di speranze e illusioni? Tutte le batoste fanno male e questa più di tutte, ma può insegnarci qualcosa anch’essa.

Per esempio che potremo salvarci solo da noi e che non vale la pena cercare fuori la forza che dobbiamo ritrovare fra le nostre strade e con la nostra comunità. Ai 5S non basterà qualche contentino per ritrovare consenso a queste latitudini, ma in fondo il calcolo era stato già fatto da tempo: perché investire grandi quantità di energie e denari per un territorio di 200.000 anime – molte delle quali indotte con successo a temere un futuro senza Ilva – quando basterebbe mostrarsi un po’ migliori dei Calenda e dei Clini vari per riscuotere applausi unanimi da questi ultimi ed in tutto il resto del Paese, con uno sforzo infinitamente inferiore?

È vero, è stato promesso nel “contratto di Governo” e Taranto avrebbe potuto essere la città modello di una magnifica riconversione dell’economia in senso ecologico, ma probabilmente non si è trattato solo della mancanza di una reale volontà politica, ma anche dell’incapacità di concepire e costruire un’impresa tanto straordinaria.

La marea si sta ritirando e rende visibile ciò che solo la speranza copriva velatamente, pur in presenza di così tanti segnali di ambiguità. L’evidenza di una scelta mai veramente in discussione ed il cinico e perverso tatticismo grillino, che lascia agli ignari e ingenui candidati locali la libertà di raccogliere consenso sul proprio territorio come meglio credono, salvo poi essere richiamati sotto l’egida della propria SRL una volta eletti in Parlamento.

Un ammaestramento fatto di contratti che non lasciano libertà di espressione e azione ai propri parlamentari, a pena di cospicue penali. Ci vorrebbero atti di coraggio che purtroppo non si sono mai registrati, a si sa, quando ci si chiude nei palazzi e ci si allontana dalla propria base è un attimo finire imbrigliati nella rete dei privilegi e gli animi più deboli finiscono per sottostarvi, quasi senza più accorgersi che intanto stanno finendo per tradire la propria gente, illudendosi di poter continuare a lavorare per essa.

Non è un caso che in questo giogo con corrotti e collusi da una parte e pavidi dall’altra, siano i movimenti e le associazioni a rappresentare davvero la città. Sono anche i limiti della rappresentatività, ormai sempre più corrosa da se stessa.

Fra qualche mese però, quando la Lega staccherà anticipatamente la spina di questo Governo, dopo aver raggiunto l’apice della sua cavalcata razzista, resterà poco anche del partito di Grillo, e allora sì che si rimpiangerà di non aver colto un’opportunità come quella del grande cambiamento di Taranto, da ergere a emblema ed esempio per l’Italia intera.

Sono conti amarissimi che qualcuno dovrà assumersi la responsabilità di fare, mentre la città dei Due mari dovrà provare a trovare la strada del cambiamento da sé, dopo essersi leccata le ennesime ferite di questa battaglia dai troppi caduti innocenti.

Massimo Ruggieri (Giustizia per Taranto)