Alla fine si rischia che la montagna partorisca un topolino.
Tante parole, tanti discorsi e tante promesse sembrano infrangersi contro il muro dell’Ilva che resiste a qualunque minaccia di ricorso in tribunale, sequestro cautelativo, piano di riconversione, crisi economica e impegno elettorale.
L’ultimo parere dell’Avvocatura dello Stato sulla legittimità del contratto con Mittal ne è la conferma.
La verità è soltanto una: chi avrebbe il potere di farlo non vuole chiudere Ilva.
I motivi sono molteplici e superano, in valore assoluto, le problematiche ambientali e sanitarie che la grande industria crea e le conseguenti proteste di tanti cittadini.
Incremento almeno immediato della disoccupazione, incapacità di mettere in moto un complesso percorso di uscita virtuosa da un modello economico e produttivo consolidato, pressione di un’intera filiera nazionale (localizzata soprattutto al Nord) che vive del nostro acciaio: la politica, indipendentemente dagli schieramenti che governano, non riesce proprio a dare una soluzione definitiva al problema Taranto e si limita a smussare alcune criticità, ora con un leggero miglioramento del piano ambientale e industriale, ora con un contentino che riguardi i livelli occupazionali, ora con qualche aiuto economico alla città.
Di fatto, non vi è ancora stata una forza di governo locale e nazionale che si sia chiaramente espressa sulla volontà di chiudere Ilva. Le buone intenzioni si sono fermate al massimo ai discorsi da campagna elettorale, senza avere poi il seguito concreto in azioni di governo in cui tanta parte dei cittadini sperava.
Settembre sta arrivando e nulla lascia presagire che Mittal possa essere estromessa dalla gara con la quale si è aggiudicata Ilva.
Tante riunioni, audizioni, tavole rotonde, incontri con gli ambientalisti, progetti di decarbonizzazione, ricorsi al TAR, spaccature tra alleati (Melucci ed Emiliano), verifiche delle carte (25.000 pagine a detta di Di Maio) a cosa porteranno? Probabilmente ad un accordo con Mittal che prevederà una accelerazione del piano ambientale e una riduzione degli esuberi dei lavoratori.
Sarà la soluzione giusta per Taranto? Probabilmente no. Dubitiamo che il Mar Piccolo possa ricevere da ciò benefici, dubitiamo che la falda torni ad essere non inquinata, dubitiamo che si riducano morti e malati a Taranto, dubitiamo che la città risolva la sua cronica crisi economica e sociale.
Non ci sorprende l’incapacità della politica di progettare quel grande cambiamento che ormai Taranto chiede a gran voce. Quello che però ancora ci meraviglia è la mancanza di chiarezza sulle vere intenzioni di chi ci governa. Vorremmo sentire senza scuse e senza scarico di responsabilità un ministro che dica: Taranto deve produrre acciaio e l’Ilva non si può chiudere per questa ragione e per quest’altra. Siamo ormai tutti stanchi dei teatrini e degli scarica barili della politica.
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