Riceviamo e pubblichiamo una nota di Paolo Peluso (CGIL Taranto).
I passi in avanti, i ripetuti arresti, i fan, i detrattori, i numeri e i parametri di una trattativa che fanno tutti in nome dei cittadini e degli operai a volte senza averne titolo o competenza. E in mezzo una comunità intera che di fronte alle parole sparate in fretta, alle soluzioni semplicistiche, ai proclami di giustizia e verità senza sincerità, senza rettitudine o imparzialità, resta in eterna attesa, quasi senza parole.
E’ l’attesa che ci consuma e che oggi celebra sei anni di illusioni vendute come una strada maestra, mentre si sarebbe dovuto intervenire per arrestare il declino, per inquinare di meno, per capire esattamente quanto durerà ancora questo modello di sviluppo e organizzarne un altro in chiave di eco-sostenibilità.
In questo tutti contro tutti a perderci è stata la comunità ionica e in particolar modo gli operai (diretti e indiretti) dell’ILVA, che in questi sei anni sono stati cronologicamente accusati di essere untori, complici, poi silenti o ora nuovamente i redivivi di cui tutti vogliono tornare ad occuparsi.
Lunedì forse, (ecco un altro forse) sapremo di più del piano ambientale. Tema su cui, come molti avranno dimenticato, proprio come rappresentanti dei lavoratori impegnati direttamente su quegli impianti, avremmo voluto dire qualcosa. Perché a propositi di diritti, proprio i lavoratori ne hanno uno profondo e radicato, che è quello di conoscere e di co-determinare come vivranno e lavoreranno in quello stabilimento.
La tutela ambientale e non solo quella occupazionale sarebbe dovuta passare dalle mani di ogni singolo operaio ILVA. Ma così non è: tavoli divisi e comunità lacerata. E in tutto questo c’è chi ancora trova il tempo di proclamarsi da solo difensore di un bene comune che invece di tutti avrebbe bisogno.
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