L’estate rovente di Ilva: Di Maio terrà fede alla promessa di cambiamento?
TARANTO – Ancora tre mesi di commissariamento di Ilva serviranno al governo per valutare il piano industriale ed ambientale che Mittal aveva elaborato di concerto con Calenda & C. e decidere quindi se dar corso alla cessione della più grande acciaieria d’Europa al gruppo industriale privato.
L’estate passerà veloce e c’è da scommettere che Ilva diventerà un argomento meno importante sui tg nazionali e forse perfino locali. Dubitiamo infatti che nei mesi di luglio e agosto l’opinione pubblica avrà chissà quale voglia di sentir parlare del futuro di Ilva e perciò di clausole del contratto con Mittal se ne discuterà esclusivamente nelle segrete stanze del MISE, non certo sulle spiagge o in vacanza.
Sarà forse destino che in Italia le decisioni importanti capiti di prenderle sempre d’estate, quando l’opinione pubblica e i giornali sono decisamente meno attenti alle iniziative di chi ci governa. Le dichiarazioni del ministro Di Maio e di altri responsabili istituzionali sembrano tutte orientate verso una probabile conferma del passaggio di Ilva a Mittal, anche se con un rafforzamento del piano ambientale e con un ridimensionamento del piano di esuberi.
Ilva, insomma, resterà molto probabilmente attiva per chissà quanti altri anni ancora, con buona pace di Confindustria, imprese del Nord che utilizzano l’acciaio di Taranto, sindacati, banche creditrici. Ma, a parte la possibile retromarcia rispetto alle promesse della campagna elettorale in cui si parlava di riconversione economica della nostra città e chiusura delle fonte inquinanti, è davvero conveniente per il governo e per il ministro Di Maio mantenere in vita un’industria come Ilva?
Probabilmente sì nel breve periodo. I cosiddetti poteri forti dell’economia nazionale premono per questa scelta e, in generale, la continuità produttiva di Ilva fa comodo a più soggetti che di acciaio e di ciò che ruota intorno ad esso vivono. Quei 6-8 milioni di tonnellate di acciaio che Ilva produce sono assolutamente necessari per alimentare quella filiera del manifatturiero che conta su equilibri di mercato ormai consolidati che, se fossero sconvolti dalla chiusura di Ilva, richiederebbero una riprogrammazione del ciclo produttivo ed economico di tante aziende italiane.
Le proteste della comunità locale ionica (che in massa ha dato fiducia al M5S alle ultime elezioni politiche e che si sentirebbe in parte tradita da una scelta diversa dalla chiusura) sarebbero tutto sommato un piccolo granello di sabbia che non riuscirebbe a bloccare il gigantesco ingranaggio economico-industriale italiano sempre ben oliato.
Taranto, d’altronde, non ha mai contato molto nelle scelte nazionali. La protesta contro l’esagerata industrializzazione del suo territorio, complici le tante divisioni dei movimenti ambientalisti, non ha mai influenzato più di tanto le politiche decise nei palazzi romani. La scelta di mantenere in vita Ilva con la sua produzione a ciclo integrale sembrerebbe quindi la scelta più ovvia e più facile da parte del nuovo governo.
La vera sfida per Di Maio sarebbe la scelta di andare contro questa logica e accettare una grande sfida per il cambiamento. Se andiamo infatti a leggere il programma elettorale del M5S troviamo alcuni punti che potrebbero trovare in Taranto il modello ideale per sperimentare la loro effettiva applicabilità.
Investimenti ad alto moltiplicatore occupazionale; sviluppo di nuove tecnologie; auto elettriche; massiccio impiego delle energie rinnovabili; uscita dal fossile entro il 2050: tutti buoni propositi che a Taranto si potrebbero immediatamente sperimentare cercando di sviluppare un nuovo modello rivoluzionario di economia.
La graduale chiusura e il ricollocamento degli operai in un piano di bonifiche e la creazione nel nostro territorio di attività industriali e di ricerca che sviluppino la cosiddetta green economy, potrebbe essere la scommessa vincente. Taranto potrebbe cioè diventare la città in cui sperimentare quel nuovo modello di sviluppo tecnologico che già altri Paesi hanno iniziato a intraprendere e che potrebbe caratterizzare le economie mondiali nei prossimi decenni.
I modelli teorici ci dicono che innovazione e sviluppo tecnologico rispettoso dell’ambiente generano maggiore ricchezza e occupazione rispetto ai modelli industriali del secolo scorso. Quale luogo migliore di Taranto per tentare questa strada del cambiamento? Per il governo e per Di Maio in particolare la trasformazione del modello industriale ed economico di Taranto, senza perdere di vista turismo e valorizzazione delle peculiarità locali, potrebbe essere la vera sfida da vincere.
Accettare o rimandare a chissà quando questa sfida? C’è di mezzo un’estate intera per pensarci. Taranto potrebbe rappresentare per il ministro Di Maio un’opportunità per dimostrare che il cambiamento è possibile, ma potrebbe anche diventare la città simbolo della resa al vecchio e superato modello di economia del secolo scorso.