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Taranto, Legambiente denuncia: la plastica ricopre le spiagge del Mar Piccolo

Settecentosessantuno rifiuti in cento metri di spiaggia, sette rifiuti e mezzo ogni metro: questo è quello che abbiamo trovato sulle sponde del Mar Piccolo in corrispondenza della Pineta di Cimino.

L’elenco di ciò che copre l’arenile è una testimonianza raccapricciante della follia dei tanti che ancora continuano a considerare il mare e le spiagge come una sorta di grande cloaca in cui scaricare i propri rifiuti.

Vale la pena leggerlo, questo inventario, questo sorta di specchio della nostra cattiva coscienza: 33 tra shopper e buste, comprese quelle nere per immondizia, 99 tra bottiglie e contenitori di plastica per bevande, 60 contenitori di detergenti, detersivi o altri liquidi, 28 contenitori di olio motore, 107 bicchieri di plastica, 196 reti e pezzi di rete superiori a 50centimetri, 63 tappi, 14 cassette di polistirolo, 10 cassette di plastica, 6 secchi, 87 pezzi di plastica superiori a 50 centimetri, 4 pezzi di plastica da 2,5 a 50 centimetri, 3 taniche, 9 guanti, 5 boe, 23 pezzi di polistirolo superiori a 50 centimetri, 6 pezzi di polistirolo da 2,5 a 50 centimetri, 5 lattine, 3 altri pezzi di oggetti (legno, gomma, plastica). Il tutto in soli cento metri.

La regina incontrastata di questo mare di rifiuti è la plastica, materiale non degradabile per eccellenza, che – da sola- costituisce il 99,08% dei rifiuti trovati; il resto (gomma, legno, metallo) non arriva all’1%; in percentuale i rifiuti più presenti sono reti e pezzi di rete- pari al 26% – , seguono bottiglie e contenitori di plastica con il 18%. La spiegazione è  nella natura del sito indagato: una spiaggia appartata, dove non ci sono bagnanti, e dove, quindi, ciò che si accumula sulle sponde è ciò che viene depositato dalla corrente e non ciò che, eventualmente, venga abbandonato sul posto.

Se facciamo una stima riferita all’uso dei materiali trovati, la fonte principale è costituita dagli imballaggi, il packaging complessivamente supera infatti il 50%, mentre gli oggetti collegabili direttamente alla pesca sono pari  a poco più del 28%, gli shopper di plastica rappresentano il 4% e tutto il resto supera di poco il 18%:  cattiva gestione dei rifiuti urbani e residui della attività di pesca e acquacoltura ne sono le principali origini.

Ma quello che abbiamo trovato in soli cento metri è solo una piccola parte del degrado che investe tanta parte delle rive dei due seni del mar Piccolo: uno spettacolo indecoroso, un pugno nell’occhio che ne deturpa la bellezza, che offusca l’incanto di luoghi che meriterebbero tutela e valorizzazione.

Sono passati sette mesi dall’annuncio del progetto “Verde Amico” con il quale, secondo quanto riferito dagli organi di informazione, il Commissario straordinario alle bonifiche di Taranto, la dottoressa Vera Corbelli,  annunciava l’impiego di 145 lavoratori della ex società Taranto Isola Verde in un progetto di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione dell’Area ad elevato rischio di crisi ambientale di Taranto, Statte, Crispiano, Massafra e Montemesola, in cui sarebbero  ricompresi interventi per ripulire dai rifiuti le coste del mar Piccolo e il fiume Galeso.

Per la formazione professionale dei lavoratori erano previsti tre mesi, ma di mesi ne sono passati più del doppio  e le coste del mar Piccolo, l’area delle sorgenti del Galeso e quella della sua foce restano ricettacolo di  discariche a cielo aperto come abbiamo più volte denunciato, anche negli ultimi mesi. Siamo stanchi di attendere.

E, come noi, sono stanchi i cittadini che assistono a profluvi di buone intenzioni cui stentano a seguire -in tempi non biblici- fatti concreti: chiediamo che gli interventi di rimozione dei rifiuti vengano effettuati con la massima urgenza.

Il Mar Piccolo è stato, per molti anni, il tesoro di Taranto e noi vogliamo che torni ad esserlo. Vogliamo che nelle sue acque possano tornare a prosperare i giardini delle cozze, che la sua incredibile biodiversità, costituisca un volano di un diverso sviluppo, fatto anche di un turismo non predatorio, in cui protezione e valorizzazione viaggino insieme.

Affinché queste intenzioni non restino un libro dei sogni  è però indispensabile che si affronti il nodo della sua bonifica,  quella vera, quella che riguarda i fondali devastati dall’inquinamento, dai metalli pesanti, dal pcb, il corpo dell’iceberg la cui parte visibile è costituita dai rifiuti che ingombrano le sue rive o dalle carcasse di auto, natanti, fusti metallici e pneumatici che, finalmente, sono in corso di recupero dai fondali.

Torniamo a chiedere al Commissario Vera Corbelli di rendere disponibili i risultati degli studi svolti, che seguono quelli effettuati da  ISPRA, CNR, ARPA Puglia negli anni scorsi, e di comunicare alla città quando essi termineranno e quali ipotesi, alla loro luce, appaiono percorribili per poter annunciare, in un giorno che ci auguriamo possa essere il più vicino possibile, che Taranto è diventata la città della bonifica, che il Mar Piccolo è tornato ad essere il suo tesoro.

LEGAMBIENTE TARANTO

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