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Taranto ha bisogno di un piano per uscire dal tunnel della decrescita “infelice”

TARANTO – Togliere la speranza di migliorare la propria vita ad una intera generazione: è ciò che sta accadendo in tante aree del mondo. Guerre, povertà, sfruttamento dei lavoratori, perdita di alcuni diritti fondamentali, massificazione del pensiero e delle conoscenze sono solo alcuni aspetti che incidono sulle condizioni e sugli equilibri delle moderne società.

Un cambiamento, questo, che avviene con velocità mai vista rispetto ad epoche precedenti nella storia dell’umanità, favorito da una evoluzione tecnologica che elimina ostacoli quali tempo e distanza che fino a qualche decennio fa rappresentavano un argine fisiologico alla peggiore globalizzazione.

Il peggioramento della condizione umana non coinvolge (almeno da un punto di vista materiale) le fasce più ricche della popolazione che risultano in una condizione di vantaggio economico che tende sempre più ad accentuarsi.
Più in generale, nella società occidentale (e particolarmente in Italia) vi è gente (poca) che vive sempre meglio e gente (tantissima) che peggiora velocemente la propria condizione, scivolando verso livelli di povertà sempre più irrecuperabili.

Intere generazioni hanno ormai poche speranze di raggiungere livelli di benessere superiori o pari a quelli dei propri genitori. Tale perdita di “posizione sociale” non viene spesso neanche percepita in modo conscio dalla popolazione generale e in particolare dai più giovani.

Il modello di società attuale ci abitua sempre più a vivere “alla giornata”, sorvolando su alcune questioni quali l’aspettativa per il futuro. Accanto a questi temi generali che caratterizzano la condizione umana in tutto il mondo, vi sono poi situazioni locali che contribuiscono a determinare il livello di benessere delle popolazioni.

Microeconomia del territorio, offerta culturale, occupazione, stato del paesaggio, qualità ambientale, stato di salute generale, vivibilità urbana (traffico, servizi, pulizia) sono variabili che incidono pesantemente sulla condizione di soddisfazione locale delle genti.

Il luogo di nascita e la famiglia di origine tornano, purtroppo, ad essere aspetti della vita condizionanti per il futuro. Quel gap che nel secolo scorso si era molto ridotto tra ricchi e poveri e tra nord e sud del mondo, tende ora a crescere nuovamente determinando il ripetersi di fenomeni quali la massiccia emigrazione e il disagio sociale.

In Italia, forse più che altrove in Europa, nascere in una particolare regione o città può incidere notevolmente sulla condizione della popolazione. Le classifiche sulla vivibilità nelle città lasciano spesso il tempo che trovano e non riescono certamente a dare un quadro assolutamente reale della situazione che esprimono, ma indubbiamente sono indicative di una condizione di disagio o di benessere generale della popolazione.

Da diversi anni Taranto non brilla per la posizione nelle classifiche delle città italiane e un bambino che dovesse nascere domani in riva allo Ionio avrebbe sicuramente degli svantaggi rispetto a chi vive in aree più competitive. Crisi economica, disoccupazione crescente, modello produttivo prettamente industriale, mancato sviluppo di settori alternativi, scarsa offerta universitaria, maggiore rischio sanitario, sono penalizzazioni di partenza che possono incidere negativamente sul futuro delle nuove generazioni.

L’aspetto forse più preoccupante che caratterizza la situazione della nostra città è la cronicizzazione dei problemi che ormai coinvolgono in egual misura più generazioni di cittadini. La difficoltà lavorativa diventa ormai una criticità che interessa padri e figli. I primi, in genere, si trovano ad affrontare la crisi produttiva che attraversa tutta l’Italia e in particolare il Sud con frequente ricorso delle imprese alla cassa integrazione, i secondi spesso non riescono proprio ad accedere al mondo del lavoro se non in modo occasionale e senza tutele.

Taranto, purtroppo, si ritrovava ai primi posti tra le città italiane col più alto tasso di disoccupazione giovanile e col maggior ricorso delle imprese all’utilizzo della cassa integrazione. E se l’università può essere lo strumento utile ai giovani per acquisire maggiori conoscenze e competenze spendibili nel mondo del lavoro, Taranto non è mai riuscita a creare un vero e proprio polo accademico autonomo da quello di Bari.

L’università nella nostra città è sempre stata penalizzata nella logistica e nell’offerta formativa rispetto ad altre realtà italiane. Nel capoluogo ionico, le sedi distaccate di UniBa e del Politecnico di Bari offrono un numero limitato di corsi di lauree magistrali (Giurisprudenza, Strategia d’Imprese e Management, Sicurezza Informatica).

Più ricca invece l’offerta di corsi di laurea triennali di I livello che però spesso rappresentano solo una tappa intermedia del percorso formativo degli studenti che sono quindi costretti a perfezionare i loro studi in altre città.

Il potenziamento dell’offerta universitaria è probabilmente uno dei migliori investimenti che si potrebbero fare nella nostra  città. Riuscire a trattenere i giovani a Taranto significherebbe invertire la decrescita (in questo caso infelice) culturale e demografica. Tanti giovani competenti e competitivi potrebbero creare nuove start up e favorire un cambio di rotta economico e sociale di cui Taranto ha davvero bisogno.

Giuseppe Aralla

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