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L’acciaio prodotto a Taranto e l’incapacità di andare oltre l’Ilva

TARANTO – Esiste a Taranto un’azienda che produca chiavi inglesi o bulloni? Si fabbricano in riva allo Ionio pentole in acciaio inox? Esistono ditte specializzate nella vendita di macchine con tecnologia laser per tagliare tubi o lamiere? Fabbrichiamo elettrodomestici? Automobili? Più in generale, la domanda è: si è mai pensato di sviluppare in loco attività produttive che sfruttino l’acciaio sfornato a Taranto?

La risposta è no, o meglio, solo in minima parte rispetto ad altre realtà italiane. L’acciaio prodotto a Taranto è quasi del tutto una merce che, una volta uscita dagli altiforni di Ilva, prende vie che la portano lontano dal nostro territorio, verso aziende in cui subisce lavorazioni tra le più varie che la trasformano in prodotti finiti molto diversi dai nastri e dai rotoli di partenza.

Ogni tonnellata di acciaio, dopo essere stata utilizzata per produrre i più svariati beni di consumo, genera, per i soggetti protagonisti della filiera, una ricchezza ben superiore rispetto al valore del bene partito da Taranto. La lavorazione dell’acciaio è, in generale, un’attività economicamente conveniente per le tante aziende specializzate nel settore.

Non c’è bisogno di essere grandi esperti per comprendere che l’economia della nostra città è del tutto sbilanciata verso la produzione di beni che generano maggiore ricchezza altrove, laddove l’imprenditoria ha avuto la capacità di posizionarsi nella parte finale della filiera di questo specifico settore manifatturiero.

Sei milioni di tonnellate di acciaio prodotte a Taranto nel 2017 hanno certamente dato lavoro ad oltre diecimila operai, ma quanto lavoro e quale valore aggiunto si sarebbero potuti ottenere se nel territorio tarantino avessimo anche sviluppato attività imprenditoriali capaci di occupare un ruolo importante nella filiera?

Quando si parla di produzione di acciaio, noi tarantini – non addetti ai lavori – che viviamo gomito a gomito con la più grande acciaieria d’Europa, pensiamo, sbagliando, che questo bene si produca solo in industrie simili ad Ilva. Ebbene, non è assolutamente così.

Ilva, col suo ciclo integrale e con una superficie grande due volte la città di Taranto, è un’eccezione nel panorama produttivo di acciaio in Italia. Prendiamo l’esempio del Nord Est, in particolare l’area economico-geografica compresa tra Veneto, Friuli e Trentino. Qui vi sono oltre 800 imprese rientranti nella filiera dell’acciaio.

Tra queste vi sono piccole acciaierie, aziende specializzate nella lavorazione dell’acciaio e della ghisa fusi, officine dedicate alla forgiatura e allo stampaggio di acciaio. Vi sono, inoltre, diverse imprese che si dedicano alla raccolta e vendita di rottame ferroso. Quest’ultimo materiale di riciclo entra direttamente nel ciclo dell’acciaio e viene utilizzato da piccoli impianti siderurgici che sfruttano la tecnologia dei forni elettrici per la produzione.

Le singole aziende occupano, in genere, un numero limitato di operai e non raggiungono di certo le quantità di acciaio sfornato da un colosso come Ilva, ma sommando tutte le imprese, il nord est arriva a oltre 8 mil di tonnellate/anno di produzione.

Nel complesso, la filiera dell’acciaio del nord est occupa circa 30.000 lavoratori, con un giro d’affari di oltre 10 miliardi di euro e soprattutto con un impatto ambientale meno devastante di quello che si verifica a Taranto.

La gestione di tante piccole imprese è sicuramente più facile rispetto a quella di un colosso come Ilva. Meno impatto ambientale, più flessibilità produttiva, maggiore capacità innovativa: questo il segreto di un settore che, malgrado la crisi internazionale dell’acciaio, nel Triveneto continua a tirare.

Potrebbe questo modello svilupparsi anche da noi? Certamente si, se vi fosse un serio progetto di trasformazione industriale ed economica. Taranto vanta conoscenza e competenza forse uniche nel campo della produzione di acciaio. I nostri operai non avrebbero certo difficoltà nell’affrontare cambiamenti anche drastici nei cicli di produzione.

Di tutto questo si dovrebbe forse parlare quando si immagina una trasformazione della nostra economia. L’acciaio potrebbe rimanere una risorsa per Taranto, ma bisognerebbe trasformare il processo produttivo coinvolgendo lavoratori e imprenditori che per anni si sono appiattiti esclusivamente su ciò che Ilva e il suo indotto offrivano. L’economia di un territorio è condizionata certamente dalle peculiarità locali caratteristiche, ma passa anche e soprattutto attraverso precise scelte e progettazioni su larga scala.

Giuseppe Aralla

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