TARANTO – Domani andremo a votare (qualcuno deciderà di non farlo) e quella croce sul simbolo che sceglieremo dovrebbe essere il frutto di mille riflessioni e valutazioni più o meno profonde. Qualcuno utilizzerà la matita con più forza, quasi con rabbia, lasciando un segno marcato sulla scheda, espressione di una vendetta covata per anni che trova finalmente modo di compiersi democraticamente.
Altri, forse tanti, più serenamente, premieranno le forze politiche che percepiscono essere espressione dei propri ideali o, più cinicamente, che rappresentano un baluardo alla difesa dei propri interessi. Sono elezioni politiche, le più importanti, quelle che dovrebbero dare un indirizzo alle scelte del nostro Paese, quelle che dovrebbero incidere notevolmente sul futuro di noi tutti.
In un Paese normale il voto alle politiche dovrebbe essere frutto di una valutazione e riflessione che vada oltre l’orizzonte limitato del territorio in cui ognuno vive, ma che guardi lontano, al sistema Paese nel suo complesso. La società occidentale è in una fase di profonda trasformazione e si va sempre più verso una perdita di individualità personale e di territorio, a favore di una massificazione verso il basso di pensieri e comportamenti: è la cosiddetta società pilotata.
La stessa espressione democratica del voto ha cambiato significato rispetto al passato e tende a perdere ormai la funzione di scelta di un ideale condiviso e diventa invece opportunità per dare forza a chi meglio intercetta dei bisogni quotidiani, limitati al breve periodo. Succede perciò che la promessa di eliminazione di una impopolare tassa, l’anticipazione della possibilità di andare in pensione, l’impegno di un tal partito di difendere una certa categoria diventino l’unica ragione di un voto che si ferma all’oggi e che non guarda al futuro.
Che società vogliamo? Cinica, razzista, ingiusta nella ridistribuzione della ricchezza, invecchiata, opportunista, irrispettosa dell’ambiente? O crediamo che si possa favorire un modello di società più equa per tutti, più solidale con i poveri, meno corrotta, più attenta al futuro? Forse anche questa domanda dovremmo porci domani nella cabina elettorale, guardando oltre il nostro piccolo orizzonte.
A Taranto poi, e forse qui più di tanti altri luoghi, le problematiche locali entrano di forza nelle scelte di voto che faremo e rischiano di appannare quello sguardo su temi più generali che dovrebbero farci riflettere nella cabina elettorale. Nella nostra città le politiche di sviluppo nazionali influiscono molto più che altrove sulla nostra quotidianità e, oggettivamente, si fa fatica a guardare lontano, oltre le ciminiere e i fumi delle grandi industrie, per avere una visione d’insieme che ci aiuti a scegliere chi debba rappresentarci nel governo del Paese.
E allora, in ogni elezione, dalle comunali alle europee, a Taranto non si fa altro che discutere e sfidarsi sugli stessi temi: Ilva, rischio ambientale e sanitario, inquinamento, ecc. “Tutto il resto è noia”, diciamo allora parafrasando una canzone di Califano: il nostro mondo finisce qui, qualunque scelta di politica nazionale facciamo è fortemente condizionata dalle problematiche locali. Non sono convinto che questo atteggiamento sia un bene per la città.
Taranto dovrebbe smettere di credere che il cambiamento possa venire dalla politica nazionale: troppi ed enormi interessi convergono sul mantenimento dello status quo nel Capoluogo ionico e troppo difficile (e forse troppo costoso, nell’ottica di un qualunque governo) sarebbe un cambio di rotta. Il cambiamento deve nascere dentro Taranto. Quel pentolone della protesta e del disagio che da anni bolle in città, deve finalmente esplodere e scoperchiarsi per poter davvero incidere sulle scelte nazionali. Buon voto a tutti allora e speriamo vinca davvero il migliore!
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