L’inizio dei lavori per la copertura dei Parchi minerali dell’Ilva è un fatto importante, ma da solo non basta. Per Legambiente infatti rimane dirimente il nodo della valutazione sanitaria. Non è ammissibile attendere, in silenzio, una valutazione del danno sanitario che a posteriori confermi quello che già oggi sappiamo riguardo i rischi per la salute derivanti da una produzione superiore alle 6 milioni di tonnellate annue di acciaio, ottenute dal solo ciclo integrale.
Lo dicono chiaramente i dati riportati nella Valutazione del Danno Sanitario effettuata da Arpa ed Ares Puglia e dalla ASL di Taranto, che nessuno fino ad oggi ha mai confutato. Questo uno degli elementi principali alla base della scelta dell’associazione di presentare il ricorso al TAR ad adiuvandum di Regione Puglia e Comune di Taranto.
Scelta presentata oggi in conferenza stampa da Lunetta Franco, presidente di Legambiente Taranto, Giorgio Zampetti, responsabile scientifico nazionale di Legambiente, Leo Corvace, del direttivo di Legambiente Taranto e dagli avvocati dell’associazione Eligio Curci e Massimo Moretti.
Questo aspetto viene confermato anche nella risposta negativa di fine gennaio del Governo alla proposta di Accordo di programma per l’Ilva del Comune di Taranto e della Regione Puglia. Risposta avanzata dopo “aver sentito anche l’investitore”, e che indica che Mittal non ha, almeno per ora, intenzione di accettare vincoli che eccedano quelli imposti dal DPCM del settembre 2017. Da qui il rifiuto opposto a quella che – secondo Legambiente – era la più importante misura annunciata nella proposta di accordo: una valutazione preventiva dell’impatto sanitario e ambientale riferita alla massima capacità produttiva prevista, pari a circa 10 milioni di tonnellate/anno di acciaio.
«Ci auguriamo – dichiarano Giorgio Zampetti, responsabile scientifico nazionale di Legambiente e Francesco Tarantini, presidente di Legambiente Puglia – che riparta una discussione vera, che coinvolga tutti i soggetti interessati e che si giunga a risultati che diano a cittadini e lavoratori la garanzia che i drammi del passato non si ripetano in futuro. Siamo consapevoli che il ricorso al Tar non sia la “madre di tutte le battaglie”, ma al tempo stesso rappresenta un atto “normale”, un diritto previsto dal nostro ordinamento, che abbiamo ritenuto di esercitare, intervenendo ad adiuvandum dei ricorsi presentati da Comune e Regione, come extrema ratio, viste le risposte che ancora oggi non sono pervenute, e per provare ad ampliare le garanzie e le tutele per l’ambiente e per la salute dei cittadini di Taranto e dei lavoratori dell’Ilva. Fiduciosi nella possibilità di accoglimento, anche parziale, delle nostre ragioni, continuiamo a chiedere che si giunga ad un accordo che sposti più in alto l’asticella delle tutele e che renda inutili i ricorsi».
Se per il passato serve giustizia, e questo è un compito affidato al processo in corso, per il futuro quello che Legambiente chiede è essere certi che le attività industriali non arrechino nuovi danni alla salute di cittadini e lavoratori e all’ambiente.
«Per questo – aggiunge Lunetta Franco, presidente di Legambiente Taranto – non condividiamo in alcun modo che, per evitare il rischio che Mittal rinunci all’acquisizione di Ilva, con la conseguente effettuazione dei massicci investimenti annunciati, si debba smettere di chiedere interventi che apportino miglioramenti al Piano Ambientale adottato a settembre dello scorso anno. Riteniamo assolutamente necessario, infatti, per qualunque impresa moderna, rispettare l’ambiente e la comunità in cui opera, intrattenendo rapporti corretti con il territorio, se vuole veramente essere innovativa e sostenibile, ed evitare un conflitto permanente con i lavoratori, la popolazione, le rappresentanze istituzionali. Siamo convinti, infine, come abbiamo scritto lo scorso dicembre nella lettera aperta al Governo, che si potrà mettere la parola “fine” alle tante questioni irrisolte che riguardano l’Ilva solo con una seria e concreta assunzione di responsabilità di tutte le parti in gioco».
Oltre l’avvio della Valutazione di impatto sanitario, ci sono altre due questioni dirimenti, che ad oggi rimangono ancora irrisolte, sul tavolo della discussione: la prima, e più importante, riguarda la capacità produttiva futura superiore ai 6 milioni di tonnellate/anno che – nella configurazione produttiva ipotizzata da AM InvestCo – lascia esposti i cittadini di Taranto e, soprattutto, quelli del quartiere Tamburi, a rischi per la salute. Rispetto ad essa, Legambiente ripropone la necessità di un’area a caldo più piccola rispetto a quanto preventivato da Mittal, e l’eventuale raggiungimento di una più elevata capacità produttiva solo a seguito di una valutazione preventiva del relativo impatto sanitario e ambientale.
La seconda attiene ai tempi di realizzazione degli interventi previsti: la nuova A.I.A., in buona sostanza, ha confermato l’impianto delle prescrizioni del Piano Ambientale del 2014, concedendo però a Mittal tempi molto più lunghi per la sua realizzazione, nonostante la sostituzione di alcune misure con altre meno impegnative, affidando di fatto la salvaguardia della salute al limite produttivo di 6 milioni di tonnellate/anno fino al completamento degli interventi prescritti.
Infine, e certo non per fare baratti inaccettabili col diritto alla salute, Legambiente torna a chiedere misure che diano una risposta economica ai cittadini del quartiere Tamburi, le cui abitazioni vengono attaccate, da anni, dalle polveri provenienti dallo stabilimento siderurgico. Ciò senza che, per loro, sia prevista nessuna forma di risarcimento del danno economico subito, non solo in termini di maggiori oneri manutentivi e di svalutazione del patrimonio, ma anche in termini più generali, connessi alla difficoltà a vivere in condizioni gravemente disagiate a causa dell’inquinamento prodotto dall’Ilva.
LEGAMBIENTE TARANTO
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