In Italia l’acciaio non è sinonimo di Ilva: lo dicono i numeri

TARANTO – La produzione mondiale di acciaio è di circa 1,65 miliardi di tonnellate/anno. Una quantità difficile anche da immaginare e per la cui produzione è la Cina a fare la parte da leone con circa 850 milioni di tonnellate/anno, di cui oltre 170 destinati all’esportazione.

L’Europa si assesta nel 2016 a circa 170 mil t/anno, con l’Italia a quota 23,4mil t. Di questi, circa 6 mil t sono stati prodotti da Ilva che ha quindi contribuito per poco più di 1/4 al livello di acciaio nazionale.

In Italia, tutta la produzione di acciaio contribuisce a formare circa il 2% del pil. In generale la produzione italiana è in lento ma costante decremento rispetto al massimo raggiunto nel 2006 quando dagli altiforni uscirono più di 31 mil t di acciaio.

Nel 2016 il nostro Paese ha importato 19,7 mil t di acciaio e ne ha esportate 17,7 mil t con un saldo negativo di circa 2 mil t. Sono queste fredde cifre che, se analizzate e inserite in una valutazione costi/benefici, possono dirci molto e farci riflettere.

Intanto notiamo subito che acciaio in Italia non è sinonimo di Ilva. Per mesi ci è stato ripetuto che la mancata produzione di acciaio a Taranto avrebbe portato un crollo del pil nazionale di circa il 2% e così invece non è: quel dato si riferirebbe al blocco di tutta la produzione nazionale.

In Italia,  se ne produce parecchio di acciaio, ma per la gran parte in piccole industrie siderurgiche sparse soprattutto al centro-nord e utilizzando rottame ferroso fuso in forni elettrici. Ilva è praticamente rimasta l’unico impianto siderurgico a ciclo integrale, che cioè produce acciaio partendo dal minerale ferroso.

Il ciclo integrale è attualmente il processo produttivo più vecchio ancora utilizzato e praticamente in dismissione in buona parte dei paesi produttori. È un processo produttivo che richiede notevolissimi investimenti iniziali per la costruzione degli impianti e costi di produzione più bassi rispetto a quelli con forni elettrici.

L’impatto ambientale degli impianti a ciclo integrale è decine di volte superiore a quello che i forni elettrici determinano a parità di acciaio prodotto. Basti solo pensare che la quota di CO2 assegnata ad Ilva nel 2015 è stata di oltre 13,7 milioni di t , rappresentando il record tra le industrie manifatturiere italiane. Nel 2014, le industrie pugliesi hanno prodotto il 21,2% della CO2 nazionale.

Il dispendio energetico (e quindi l’impiego di carbone e tutto ciò che ne consegue a livello di inquinamento) è il grande problema delle acciaierie a ciclo integrale. È anche questa la ragione per cui ormai la gran parte dell’acciaio è prodotto con forno elettrico e riciclando rottame ferroso.

Il risparmio in termini di costi della materia prima caratterizza la produzione con ciclo integrale, compensato però da un impiego maggiore di personale rispetto agli impianti siderurgici che utilizzano forni elettrici. È forse questa la ragione per cui gli impianti a ciclo integrale sono nati come imprese statali, capaci di svolgere, quindi. una funzione occupazionale elevata, oltre che produttiva.

Il costo spesso non valutato era però l’impatto ambientale che, se tollerato nei decenni scorsi, diventa adesso problema prioritario nella valutazione generale costi/benefici. Il vero business dell’acciaio in Italia lo fanno le piccole aziende siderurgiche che sono centinaia e sono sparse soprattutto nel nord-est.

Producono in genere poche centinaia di migliaia di tonnellate di acciaio, spesso di ottima qualità, che viene impiegato nella filiera che genera lavoro e profitto per gli imprenditori del settore. Il tutto con un modesto impatto ambientale. Nel solo nord-est, nel 2016, la filiera dell’acciaio prodotto dai piccoli impianti siderurgici, ha generato un giro d’affari di oltre 10 miliardi e oltre il 20% di valore aggiunto sul fatturato.

Tutto questo dovrebbe far riflettere sulla possibilità di rivalutare del tutto i cicli produttivi di acciaio a Taranto, non escludendo la riconversione verso modelli meno impattanti che utilizzino forni elettrici e rottami ferrosi. Lo sviluppo di aziende attive nella filiera dell’acciaio potrebbe compensare gli inevitabili cali di personale ora impiegato nel ciclo integrale. L’acciaio è un affare per molti, ma non certo per Taranto.