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Ilva, copertura dei parchi minerali: opera imponente che limita lo sguardo verso il futuro

TARANTO – Enorme, altissima e visibile praticamente da tutta Taranto: questa sarà la struttura che a partire dal 2020 coprirà gran parte dei parchi minerali di Ilva. Una struttura forse utile a ridurre l’impatto delle polveri che per decenni hanno insozzato e colorato di rosa il quartiere Tamburi e tutte le aree più prossime all’acciaieria, ma certamente non bella da vedere e comunque capace di alterare in modo permanente il paesaggio.

Ma a Taranto, probabilmente, il vincolo paesaggistico e la sua tutela sono aspetti che assumono importanza secondaria. Non entriamo nel merito delle autorizzazioni concesse per la realizzazione della struttura di protezione dalle polveri di minerale e sulle procedure che la ditta incaricata metterà in atto: sappiamo che sono già state annunciate segnalazioni e denunce alla Procura che valuterà eventuali irregolarità.

L’aspetto su cui vogliamo ragionare è principalmente quello estetico. Chiariamoci: l’orizzonte di Taranto è già in buona parte compromesso dal versante che guarda alla grande industria. Ciminiere, assenza di qualunque forma di vegetazione e fumi di vario genere aprono alla vista di uno scenario tipicamente industriale, abbastanza unico nella realtà italiana.

Un orizzonte che molti definiscono orribile perché tanto diverso da quello naturale che avevano osservato i nostri nonni, ma che altri invece giudicano addirittura affascinante, specialmente di sera, quando le mille luci fanno assomigliare la fabbrica ad una enorme metropoli.

Bello o brutto che si percepisca, l’attuale orizzonte non limita comunque la nostra capacità di guardare lontano, anche oltre le ciminiere, facendoci intuire che non è tutto Ilva ciò che circonda Taranto.

Dal 2020 cambierà tutto. Le simulazioni della visuale che l’enorme capannone ci darà da vari punti di vista sono angoscianti. L’impressione è di una struttura invadente, clautrofobica, che limiterà la nostra libertà di guardare oltre. È come se la grande industria volesse imporsi persino sulla nostra percezione del paesaggio, ribadendo quella prepotenza che tante volte ci ha ferito.

“Sono qui, sono la grande industria e Taranto è mia”: sarà questo il messaggio che tanti di noi coglieranno dal 2020. Taranto già altre volte ha visto la realizzazione di opere che hanno modificato la percezione dei panorami e ristretto l’orizzonte visibile.

È successo, per esempio, con la costruzione negli anni ’60 dei grattacieli in viale Virgilio che hanno reso meno bello il nostro lungomare e più in generale con le tante costruzioni abusive che hanno deturpato la nostra litoranea.

La perdita del paesaggio è una perdita di libertà: è un muro in più che ognuno di noi si trova davanti e che ci limita anche psicologicamente. Saremo forse più protetti dalle polveri con il capannone che si costruirà, ma avremo svenduto un altro pezzo dei nostri diritti e avremo rimpicciolito la nostra capacità di vedere lontano e forse perfino di sognare.

Giuseppe Aralla

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