TARANTO – VIIAS e VIS sono due metodiche conoscitive legate allo studio degli effetti ambientali e sanitari che impianti industriali e attività umane determinano in specifici contesti. Nella proposta di accordo che Regione Puglia e Comune di Taranto avevano inviato al ministro dello Sviluppo Economico Calenda a parziale modifica e integrazione del DPCM, questi strumenti di analisi erano proposti come mezzi necessari per valutare l’impatto che Ilva, prima e dopo le eventuali opere di “ambientalizzazione”, avrebbe determinato sulla salute di noi cittadini.
In particolare, queste procedure di analisi d’impatto, hanno la capacità di prevedere il rischio legato ad un certo tipo di attività, valutandone per esempio gli effetti in relazione al livello di produzione programmato. La VDS è, invece, una procedura di valutazione approvata dalla Regione Puglia e, in verità, fino ad ora poco utilizza nelle procedure di autorizzazione alla produzione industriale.
Ebbene, secondo il Ministero dello Sviluppo, nessuna di queste procedure di valutazione del rischio sanitario possono applicarsi ad Ilva, vuoi per mancanza di normative specifiche, vuoi perché l’acciaieria di Taranto è considerata opera strategica nazionale che non può essere soggetta a questo tipo di valutazioni.
Nulla da fare quindi per le proposte che vorrebbero imporre un’analisi di rischio preventivo sulla nostra salute rispetto alle misure previste dal piano industriale concordato tra governo e acquirenti. Al governo e al privato non piace, quindi, l’idea che la produzione possa in qualche modo essere condizionata dalle analisi di rischio sanitario.
La valutazione sanitaria, secondo il Ministero, dovrà semmai essere valutata a posteriori, anno per anno, agendo, qualora si evidenziassero criticità, sul piano ambientale mettendo in atto misure di riduzione dell’impatto ambientale. La logica resta, in sostanza, per noi tarantini, quella dell’evidenza del danno, la stessa che si applica alle cavie da laboratorio negli esperimenti di farmaco tossicità.
Una logica inaccettabile senza dubbio per chiunque mostri un briciolo di buon senso. Non vi può essere alcuna impresa strategica che scavalchi il diritto alla salute e questo tentativo delle istituzioni nazionali di imporre la ragion di Stato in un territorio che ha già duramente contribuito al bene comune, non può più funzionare.
È davvero paradossale, al limite del grottesco, la risposta con cui il governo rigetta le proposte di Comune e Regione a modifica e integrazione del DPCM. Norme e cavilli vengono richiamati per giustificare l’impossibilità di dar corso ad una valutazione preventiva del rischio sanitario. Le procedure devono cioè rispettare la legge e la prassi e questo è davvero il massimo per un’azienda che di regolare non ha davvero nulla visto che si è tenuta in piedi grazie a decreti su decreti, in barba a qualunque prassi amministrativa e fallimentare.
D’altronde, secondo Calenda, a Taranto i valori di inquinanti nell’aria sono nella norma ormai da anni e la produzione industriale, limitata a 6 mil t anno non dovrebbe in alcun modo portare ad aumenti dei valori oltre i limiti. Il ministro, però, dimentica che Taranto mostra un inquinamento diffuso dei suoli e della falda e che morbilità, mortalità e incidenza di tumori continuano ad essere abbondantemente sopra i limiti, soprattutto nei quartieri più prossimi alla grande industria.
Vorremmo sapere dal ministro se dovremmo sentirci rassicurati dal fatto che i limiti di inquinanti sono rispettati, o se piuttosto non dovremmo continuare a preoccuparci, considerando che le polveri che respiriamo a Taranto sono probabilmente più tossiche di quelle che i limiti di legge considerano.
Insomma, tutto nella norma a Taranto secondo Calenda: il rischio sanitario deve essere valutato con procedure che si applicherebbero ad una qualunque fabbrichetta e tutto va ricondotto alla giurisprudenza in materia, senza stravolgimento alcuno. Bene, è ancora una volta tutto chiaro, questa volta scritto nero su bianco. Qualunque polemica sulla necessità di appoggiare sindaco e governatore nel ricorso al TAR dovrebbe forse smorzarsi: difendersi in tutti i modi legali è la priorità che abbiamo.
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