Lo stato di salute di una città lo si capisce non solo dall’incidenza di mortalità e patologie nella popolazione di riferimento, ma anche dall’andamento demografico. Taranto non sta bene, è in sofferenza: ce lo dicono chiaramente i dati demografici Istat. Siamo nuovamente meno di 200.000 residenti, esattamente 199.561 al 31 dicembre 2016.
Rispetto all’anno precedente, il numero di residenti nella nostra città è diminuito di oltre 1.500 unità. Una riduzione percentualmente più marcata rispetto all’Italia, al Mezzogiorno e alla Puglia. Una tendenza che dura ormai da diversi anni e che non accenna a diminuire.
Neanche l’arrivo ogni anno di qualche centinaio di forestieri che prendono residenza nel Capoluogo ionico riesce a compensare il fenomeno dello spopolamento. Il saldo migratorio del 2016 è di -961 unità: più persone sono andate via da Taranto rispetto a quante ne sono arrivate.
Le famiglie tarantine sono mediamente composte da 2,4 persone e questo è conseguenza della scarsità di nuovi nati. I morti sono più dei nati: 2075 contro 1497 nel 2016, con un saldo negativo di -578. Il 29,5% della popolazione di Taranto comprende ultra sessantenni e solo il 16,3% comprende giovani tra i 20 e i 34 anni.
Una forte tendenza, quindi, all’innalzamento dell’età media della popolazione e all’invecchiamento. Tale dato sarebbe ancora peggiore se non vi fosse l’arrivo di immigrati generalmente al di sotto dei 35 anni. Sono solo numeri che se letti distrattamente potrebbero dirci poco e non ci porterebbero a fare profonde riflessioni sul presente e sul futuro della nostra città.
Riflessioni che forse neanche facciamo nella quotidianità delle nostre vite quando, presi dai nostri impegni, non facciamo caso ad alcune situazioni: un vicino di casa che ha venduto tutto e si è trasferito; un nostro nipote che è rimasto a lavorare nella città in cui si è laureato; degli amici di famiglia che hanno deciso di non avere figli per mille ragioni diverse; una persona cara che ci ha lasciati per sempre per una malattia che forse non lo avrebbe dovuto colpire.
Una città con questi numeri e con queste situazioni è chiaramente malata, forse gravemente e ci vorrebbe immediatamente una cura. Taranto non è un piccolo borgo di montagna da cui i giovani fuggono per cercare nuove opportunità o una città terremotata, ma una realtà urbana complessa e potenzialmente accogliente.
Se perde pezzi, vuol dire che qualcosa non funziona nella sua economia, nella sua vivibilità, nelle opportunità che offre. Non staremo qui ad elencare ciò che non va bene a Taranto e neanche siamo così presuntuosi da pensare di poter comprendere e spiegare la complessità di una città e dei suoi problemi, ma è evidente che il modello di economia industriale predominante e condizionante sul territorio è perdente.
Disoccupazione, reddito medio pro capite, numero di attività commerciali che chiudono dovrebbero far riflettere sul fallimento delle scelte politiche nazionali che hanno imposto a Taranto un tipo di sviluppo del tutto dipendente dall’industria che, se forse poteva andare bene nei lontani anni ’60, ’70 e ’80, è ormai da tempo fallimentare e dannoso.
Fino a che livello di crisi demografica e socio-economica dovremo arrivare perché ci si renda conto di ciò? Se non sono l’inquinamento e il danno sanitario a insinuare dubbi nelle menti dei più accaniti sostenitori delle politiche industriali per Taranto, non dovrebbero spingere a questo almeno i dati demografici ed economici?
Evidentemente no. Teniamocela allora l’industria e chiudiamo tutto il resto. Anzi, facciamola ancora più grande, che occupi tutte le terre attorno a noi e mettiamoci a lavorare tutti i disoccupati. Costruiamo poi un grandissimo ospedale per curarci e assicuriamo tutte le visite e le medicine gratis. Forse staremo bene nella nostra città protetta dalle mura d’acciaio e nessuno vorrà più andare via.
Fonte: http://www.tuttitalia.it/puglia/64-taranto/statistiche/popolazione-andamento-demografico/
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