TARANTO – È tempo di bilanci personali, familiari e collettivi ogni volta che cambiamo calendario, ma forse, per quanto riguarda Taranto, per tante situazioni verificatesi, verrebbe voglia di sorvolare su questa consueta prassi.
È stato un anno all’insegna delle divisioni e delle rivalità personali e politiche il 2017, caratterizzato da una campagna elettorale per le amministrative che ha lasciato ferite e divergenze profonde anche tra coloro che, secondo logica, avrebbero dovuto trovare un punto d’intesa per ambire al governo della città.
Mi riferisco alle forze di opposizione diversamente anti sistema, variamente portatrici di programmi per il cambiamento in buona parte coincidenti, ma non per questo unificanti. Quelle forze che, in caso di accordo, sarebbero potute divenire maggioranza in grado di far virare rotta ad una città prettamente industriale, si sono invece frammentate in mille schegge impazzite e incapaci perfino di dialogare tra loro.
Simile scaccia simile: è talmente vera questa legge della natura che a Taranto è stata applicata alla lettera da parte dei soggetti che in vario modo, a livello personale o in quanto esponenti di partiti o associazioni, contrastano i piani del governo per Ilva.
Accade allora che, paradossalmente, questi soggetti riescano a riporre maggior fiducia in un sindaco e un governatore esponenti del principale partito responsabile delle discutibili politiche industriali a Taranto, piuttosto che riuscire a trovare una strategia di lotta comune, fatte salve alcune lodevoli eccezioni e alcuni tentativi di unione di intenti.
Eh si, diciamolo chiaramente: per tanti, Melucci ed Emiliano sono divenuti l’ultima speranza per contrastare una nuova era industriale che potrebbe riportare Ilva all’anno zero, cancellando, in buona parte, anni di lotte di cittadini e magistratura.
Il ricorso al TAR contro il Dpcm acquisisce allora valenza di riscatto di un popolo contro la prepotenza di uno Stato, ma dobbiamo rimanere ben consapevoli che da un giorno all’altro l’argine costruito a nostra protezione potrebbe cedere facilmente e i nostri difensori potrebbero trasformarsi in carnefici.
Una cosa è certa: non saranno Melucci ed Emiliano ad impegnarsi per far chiudere Ilva poiché questa ipotesi non appartiene ad entrambi. Essi potrebbero semmai solo ritrovarsi ad essere ingranaggio e capro espiatorio di un sistema ormai irrimediabilmente compromesso che mostra criticità sempre più difficili da gestire.
E allora ci tocca sperare che il sistema Ilva non crolli all’improvviso perché nessun piano B è stato approntato per Taranto. Governo, sindacati, Confindustria non hanno infatti mai seriamente valutato le ipotesi di chiusura o significativo ridimensionamento di Ilva che, se avvenissero, rappresenterebbero un terremoto a cui nessuno è preparato.
Diffidenza, paura, incertezza, angoscia: sono gli stati d’animo che hanno caratterizzato il 2017 per buona parte dei tarantini. L’industria e tutto ciò che essa produce di materiale ed immateriale continua a condizionare le nostre vite e ad influire anche sui nostri stati d’animo.
Siamo tutti abbastanza esasperati: lo dicono i cittadini con le loro paure per il rischio sanitario; lo esprimono gli operai con le loro proteste; lo avvertono gli alunni del quartiere Tamburi quando c’è vento; lo vivono i commercianti sempre sull’orlo della crisi; lo sanno sin troppo bene gli agricoltori, gli allevatori, i mitilicoltori e tutti coloro i quali risentono dei danni da inquinamento.
Un eventuale miglioramento delle misure previste nel Dpcm potrebbe incidere positivamente sullo stato generale di Taranto e dei suoi abitanti? Ne dubitiamo. Non conosciamo inoltre le vere intenzioni dei futuri proprietari di Ilva sul piano industriale e sull’effettivo mantenimento degli impegni assunti. Il futuro di Ilva e di riflesso anche nostro è davvero incerto e solo tra qualche mese avremo un quadro più chiaro. Per adesso, con spirito di maggior comprensione verso i problemi che ogni categoria vive, brindiamo tutti insieme ad un felice 2018.
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