“Sembra Taranto”, “Sembra Taranto. Respiri cancro”. Così Francesca Borri, corrispondente di guerra, accomuna la città dei due mari a Thilafushi, nelle Maldive, sul blog del Fatto Quotidiano nell’articolo “Thilafushi, la pattumiera delle Maldive”. Di getto, ho provato tanta rabbia nel vedere il nome della città che porto nel cuore e che mi sta regalando anni universitari meravigliosi buttato così, senza il minimo rispetto. Volevo andare sui social e gridare il mio più profondo disprezzo per chi probabilmente, senza conoscere le tante realtà di Taranto, scrive inconsapevolmente parole pesanti che fanno male e che inquinano la città almeno quanto la fabbrica.
Ma poi ho riflettuto meglio perché limitare la reazione a questo duro attacco al campanilismo di una ragazza che in questa terra vive, studia e progetta il suo futuro, seppur lecito, non è sufficiente. E’ qualcosa che va ben oltre. I problemi di Taranto non si possono nascondere e né tantomeno si deve girare la testa dall’altro lato e far finta che tutto vada bene. L’inquinamento c’è, le terribili morti causate da questo ci sono. Sono state evidenziate le molteplici responsabilità e la magistratura sta facendo il suo lavoro.
Ma c’è anche tantissimo altro che purtroppo non sale alla cronaca nazionale e internazionale, perché mi rendo conto che, dei ragazzi che invece di cercare futuro all’estero, scelgono, contro ogni prospettiva, di rimanere caparbiamente nella propria terra per contribuire a cambiarla e a migliorarla con la loro passione, il loro entusiasmo e le loro idee proprio non fanno
notizia.
Studio giurisprudenza al Dipartimento Jonico in “sistemi giuridici e economici del Mediterraneo: società, ambiente, culture” e ogni giorno mi addentro nel borgo antico di Taranto per respirare tra i resti della civiltà greca e il mare, consapevole che tutta questa bellezza non può passare inosservata e noi ragazzi, ora più che mai, siamo chiamati a custodirla e difenderla per dare nuova vita alla città.
L’ unica vera colpa di questa città è non avere una classe politica che faccia, come si deve, gli interessi dei cittadini e che si occupi di governare davvero; ma questo è un fenomeno che ha radici profondissime proprio come la maggior parte dei problemi di tutta la provincia jonica. Ed è qui che nasce la mia rabbia, non solo verso quella classe politica che, invece di curare gli interessi della città si è sempre preoccupata dei propri, o nei confronti di chi, più o meno inconsciamente ed incautamente, paragona, senza alcun senso, realtà umane tanto diverse tra loro per origine, storia ed identità, ma anche e soprattutto per l’incapacità nostra di farci sentire, di farci valere, di trovare la forza per ribellarci.
Si tratta di una lotta, “la” lotta! Perché bisogna ritornare a credere nelle potenzialità della propria terra, perché bisogna lottare contro i tanti che ci guadagnano da una Taranto spenta e, ci guadagnerebbero ancora di più se fosse in ginocchio, perché gli errori del passato non possono e non devono fermare le nuove generazioni, perché il futuro va progettato già dal presente e le nuove tecnologie, se impiegate con una visione strategica, farebbero fare passi da gigante in termine di salute, ambiente, economia e lavoro.
Taranto è piena di risorse: di associazioni, di giovani, di volontari che stanno ritrovando la voglia di riscatto e si stanno battendo. Taranto deve diventare una grandissima sfida per tutti quelli che credono nel cambiamento e, come ogni sfida, è una opportunità che soprattutto noi ragazzi non dobbiamo lasciarci sfuggire. E, se la dottoressa Francesca Borri sostiene di voler raccontare di Taranto perché non sia dimenticata, oltre a ringraziarla per la sua sensibilità, io la inviterei anche a non limitarsi a fare quello che più facilmente e più ovviamente da diverso tempo stanno facendo un po’ tutti: parlare della questione ILVA e dei problemi che essa ha prodotto nel tempo.
Quella è roba risaputa e c’è davvero poco da aggiungere. Cominci, se ha voglia, ad addentrarsi anche lei, come stiamo facendo in molti nelle realtà della città, individuando gli aspetti positivi che sono molteplici ed interessanti, perché, partendo da quelli possa offrire suggerimenti, inviando un messaggio nuovo, il messaggio della ricostruzione, della ripresa e del riscatto, non quello del solito grido di allarme del arcinoto disastro ambientale di cui tutti sanno e sul quale molto si continua a pontificare, senza indicare proposte e soluzioni.
Comportarsi così è molto facile, ma nulla si aggiunge di nuovo che possa servire soprattutto ai giovani per costruire un futuro migliore – sotto ogni aspetto- per loro e le generazioni che verranno. E il futuro che noi vorremmo, con la collaborazione di tutti anche della dottoressa Borri, è quello in cui di polveri, di diossina, di smog, di disastri ambientali non si parlasse più e si cominciasse a ragionare e a operare tenendo conto delle grandi opportunità offerte dalla scuola, dall’Università, dal mare, dal turismo, dallo sport, dall’agricoltura, e anche da un industria che rispetti l’ambiente e la salute di tutti.
Francesca Arrè – studentessa universitaria di giurisprudenza – Castellaneta (TA)
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