In una memoria presentata al Senato della Repubblica, riguardante la trattativa di vendita di llva ad AmInvecstCO, la Fim Cisl ribadisce nuovamente la necessità di tutelare i 7.000 lavoratori dell’indotto Ilva, i più penalizzati dalla situazione attuale: gli ammortizzatori sociali per questa fascia di personale sono, infatti, ormai in scadenza. Di seguito il documento.
ILVA: TRATTATIVA CHE PAGA IL DAZIO DI UN PREGRESSO INADEGUATO
Dal 26 luglio 2012, giorno del sequestro da parte della magistratura tarantina degli impianti di Taranto del Gruppo, allora di proprietà della famiglia Riva, si sono susseguite una serie di gestioni che hanno, nel corso del tempo, logorato le condizioni economiche e impiantistiche dei siti dell’intero Gruppo. Si sono susseguiti da allora ben 12 decreti legge insieme ad alternate proposte di diverse gestioni commissariali, arrivate dopo quella del commissario Enrico Bondi (l’unica a nostro giudizio con un progetto valido dal punto di vista ambientale, tecnologico e occupazionale). Nella gara indetta dal Governo, tra i due gruppi partecipanti AminvestCO e AcciaItalia, in base alle valutazioni di Governo e dei commissari, è risultato aggiudicatario il primo composto da Arcelor Mittal, Marcegaglia, Banca Intesa (decreto del 5 giugno 2017).
Premessa alla trattativa
E’ evidente che la trattativa Ilva tra organizzazioni sindacali e AmInvestCO prende il via in un quadro fortemente compromesso da anni (sono oramai 5 anni dal 26 luglio 2012) di rinvii, cambi gestione e scelte inappropriate, tra proclami di improbabili nazionalizzazioni e rifinanziamenti in turnaround. Si giunge così infine alla gara tra AmInvestco e Acciaitalia, che presentavano entrambe conti salatissimi soprattutto dal punto di vista occupazionale.
Livelli occupazionali
Quando parliamo di “livelli occupazionali” del Gruppo Ilva non possiamo non tenere presenti sia i 14200 diretti che i 7000 circa dell’indotto che sono funzionali alla produzione: un indotto spesso impiegato in attività specifiche che richiedono competenza ed esperienza, che non possono essere improvvisate o affidate in maniera approssimativa, e che fino ad oggi ha pagato il prezzo più caro con la chiusura di aziende e la perdita del posto di lavoro per migliaia di famiglie, oltre tutto allo scadere dei pur ridotti ammortizzatori sociali oggi a disposizione.
Le modalità con cui è stato scritto l’art. 47 (legge n.428/90) presentato ai sindacati, anche se non vuol essere probabilmente una provocazione, è evidente che nei contenuti e nella forma non segna un buon punto di partenza della trattativa. Riteniamo, tuttavia, che ci siano le premesse per ripartire con la trattiva, se si resettano le condizioni di partenza, ribadendo che bene ha fatto il Ministro Carlo Calenda a sospendere il tavolo, in quanto la trattativa con i sindacati non può partire da una posizione arretrata rispetto a quelli che erano gli impegni già presi col Governo.
Impegni che riguardavano, in particolare, oltre che i livelli occupazionali ed il costo medio per dipendente, anche la continuità contrattuale col mantenimento degli attuali livelli ed anzianità. Non è accettabile infatti procedere al licenziamento di tutti i dipendenti e alla loro riassunzione da parte di AMInvestCO con la nuova normativa, aggiungendo a questa la cancellazione degli scatti di anzianità, dei livelli di inquadramento e della contrattazione aziendale, frutto di anni di battaglie sindacali fatte insieme ai lavoratori, i cui benefici sono tangibili anche, e non solo, nelle retribuzioni dei dipendenti.
Resta inteso che i numeri sono sovrastimati e con gli standard produttivi auspicati da ArcelorMittal, le unità impiegate dovranno essere rivalutate proprio in funzione delle specificità di Ilva, per cui il teorema 1 MLN di tonnellate = 1000 occupati non è sufficiente e richiede una più adeguata valutazione all’interno della trattativa sindacale.
Opere di sostenibilità ambientale
Il tema cardine della vicenda Ilva, però, è dato dagli investimenti per il piano ambientale, finalizzato a rendere ambientalmente sostenibile la produzione di acciaio in tutti i siti del Gruppo, come del resto oggi avviene in tutte le nazioni avanzate, a partire dalla vicina Germania e dalla confinante Austria, dove a Linz è presente l’acciaieria VoestAlpine. Questa acciaieria è riuscita a mantenere la competitività rispetto alle industrie dei paesi emergenti grazie al recepimento nei propri impianti delle più moderne innovazioni tecnologiche, che hanno permesso di minimizzare l’impatto ambientale e adeguato ogni fase del processo alle migliori tecniche disponibili (Bat), diventando punto di riferimento normativo a livello europeo in materia ambientale.
Per questo, a partire dal sito di Taranto, dove la questione ambientale è una vera emergenza, bisogna avviare in primis la copertura dei parchi minerari (mai avviata) il cui completamento secondo il Piano AMInvestCo è prevista per il 2023. Per questo auspichiamo che, qualora si concludesse positivamente la trattativa sindacale con l’azienda, la AMInvestCO sia vincolata ad investire con celerità per fornire risposte immediate alla città di Taranto ed ai lavoratori, che ancora oggi non hanno chiaro quale destino attende lo stabilimento. In questo senso va portata a termine, come da relazione dei commissari, la bonifica dell’amianto ancora presente in alcune zone dello stabilimento ed eliminare così l’esposizione dei lavoratori.
Impianti di produzione
Tutti gli impianti, inoltre, hanno bisogno di essere ammodernati con tecnologie che riducano le emissioni, nel rispetto del piano ambientale, e garantiscano la sicurezza dei lavoratori. Al contempo devono essere rilanciati sul piano produttivo tutti i siti del Gruppo, come nel caso della banda stagnata (impiegata nel mondo dell’imballaggio) a Genova e dei tubifici di Taranto, per poter fornire risposte ai lavoratori da troppo tempo penalizzati dal loro posizionamento in ammortizzatori sociali.
In questi anni di commissariamento, abbiamo inoltre rischiato di perdere molte delle certificazioni in possesso di ILVA (indispensabili per poter accedere al mercato dei tubi di acciaio) e che solo grazie alla ripartenza di uno dei tubifici (ERW di Taranto) non è scaduta. Oggi i tre tubifici presenti a Taranto (che a pieno regime occupano circa 800 persone), a fronte degli investimenti previsti dal Piano industriale di AMInvestCo, avrebbero una prospettiva produttiva inferiore rispetto agli anni antecedenti la crisi del 2008. Sono inoltre da recuperare con urgenza (ricordiamo che nei 5 anni di commissariamento sono aumentati gli incidenti sul lavoro) gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.
Bonifiche affidate ad Ilva in amministrazione straordinaria
La questione relativa alla bonifica a nostro avviso deve essere centrale all’interno non solo del piano di ambientalizzazione, ma anche di quello occupazionale. Per la FIM bisogna ragionare sulla costituzione di una vera e propria società che si occupi delle bonifiche con progettualità e competenze, in cui impiegare i dipendenti che resteranno in carico ad Ilva in amministrazione straordinaria. Un progetto – quello relativo alla bonifica – che avrà senso se si darà una prospettiva che vada oltre il 2023 ed una finalità che punti a risanare non solo le aree attualmente individuate, ma anche tutto ciò che di insoluto è presente sul territorio.
Inoltre riteniamo che l’idea, secondo la quale il piano ambientale si basi sul solo tonnellaggio e non sulle emissioni, rappresenti un limite. A questo si può ovviare con le tecnologie che limitano le emissioni man mano che si attua il piano ambientale, indipendentemente dalla quantità di acciaio prodotto. Su questo serve un confronto più ampio.
Conclusioni
Auspichiamo una rapida ripresa e una positiva conclusione della trattativa, muovendo da posizioni adeguate ad avviare un vero negoziato, non viziato da atteggiamenti provocatori ma fondato sugli elementi indiscutibili già concordati con il Governo. Sarebbe drammatico dover ritornare alla gestione commissariale dell’azienda i cui risultati, in termini di perdite o di mancata realizzazione di opere (manutenzioni ordinarie e straordinarie incluse), sono stati più volte denunciati dai sindacati. E’ paradossale che con la ripresa di alcuni settori dell’economia nazionale, l’Italia sia costretta a importare acciaio dall’estero: interi settori come quello dell’automotive (leggi FCA) attualmente importano acciaio dalla vicina Germania, tenendo di fatto ferme le produzioni e lasciando a casa i lavoratori.
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