TARANTO – “La prima guerra mondiale nel Mar Piccolo di Taranto: primo caso di ecologia della guerra?”. E’ il titolo di un interessante studio realizzato da Carmela Caroppo e Giuseppe Portacci, esperti che lavorano per il Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto per l’ambiente marino “Attilio Cerruti” di Taranto. Si tratta di un vero e proprio lavoro di ecologia storica, basato sui drammatici avvenimenti che hanno interessato il Mar Piccolo di Taranto e, in particolare, la molluschicoltura, durante la Prima Guerra Mondiale.
Le informazioni contenute nel documento sono sorprendenti e fanno emergere l’efficacia e la modernità delle azioni messe in campo da Attilio Cerruti, fondatore dell’Istituto Talassografico, in difesa della molluschicoltura in anni particolarmente critici. Inoltre, questo studio dimostra come un disastro ambientale avvenuto nel Mar Piccolo di Taranto cento anni fa, possa essere fonte preziosa di insegnamento per affrontare le problematiche attuali legate all’inquinamento industriale.
Lo studio regala delle importanti chicche dal punto di vista storico. Secondo un’ipotesi presentata nel documento (pubblicato sulla rivista scientifica Ocean & Coastal Management), il primo “Wind day” vissuto dalla città di Taranto potrebbe risalire al 1916. Il 2 agosto di quell’anno, infatti, la nave da battaglia Leonardo da Vinci, ormeggiata nel Mar Piccolo di Taranto, affondò in porto in seguito ad un’esplosione, la cui causa venne attribuita ad un sabotaggio austriaco, nel corso del primo conflitto mondiale.
Nell’esplosione e nel tentativo di salvare la nave dall’affondamento, morirono 21 ufficiali e 228 uomini del suo equipaggio. Dalla nave incandescente, la mattina del 3 agosto, si sollevò del fumo che venne trasportato dal vento verso la città ionica con il suo carico di sostanze nocive probabilmente simili a quelle prodotte negli ultimi decenni dalla grande industria. Una contaminazione che secondo lo studio curato da Caroppo e Portacci andrebbe approfondita.
“Nell’assenza di tutti i dati epidemiologici specifici – si legge nel documento – possiamo solo supporre che a Taranto i cittadini avrebbero potuto segnalare sintomi legati a problemi respiratori, irritazione della pelle e danni agli occhi causati da frammenti e/o disgregazione e dispersione di vetri di finestre a causa dell’esplosione”. Ed ancora: “Gli abitanti e i soccorritori avrebbero potuto registrare l’insorgenza di un cancro ad un tasso più elevato rispetto alle persone che vivono in siti non esposti, anche considerando l’elevata quantità di prodotti chimici prodotti dalla nave in fiamme”.
Nonostante la mancanza di dati, è probabile che l’esplosione violenta della Leonardo da Vinci abbia compromesso l’ambiente marino. Diverse le cause: l’onda d’urto dell’esplosione, la perdita di una ingente quantità di olio combustibile, la produzione di sostanze tossiche e nocive come gli idrocarburi, la risospensione dei sedimenti, l’aumento di rifiuti e carcasse sul fondo marino. L’effetto più evidente probabilmente è stata la moria di pesci, oltre alla distruzione del fondo marino e delle comunità associate.
L’esplosione della Leonardo da Vinci innescò anche un’onda sismica, registrata dal sismografo dell’Osservatorio Geofisico e Meteorologico “L. Ferrajolo” di Taranto. Secondo le notizie attinte in prevalenza da documenti stranieri (in Italia vigeva la censura militare), la città fu illuminata da enormi lingue di fuoco (visibili addirittura da Massafra), le case furono scosse alle loro fondamenta e i residenti della città vecchia e del borgo si riversarono spaventati nelle strade. E’ probabile che l’onda sismica abbia avuto un’intensità di tra il IV e il V grado della scala Mercalli. Secondo la tradizione orale, nel mare si generò un’onda di ritorno (oggi diremmo tsunami) che interessò solo la parte bassa della città vecchia.
LE CONCLUSIONI
Per la prima volta, questo studio fornisce preziosi e inedite informazioni sull’impatto ambientale della Prima Guerra Mondiale a Taranto. Le strategie adottate da Attilio Cerruti per la salvaguardia della molluschicoltura e della ostricoltura potrebbero rappresentare il primo caso di “warfare ecology”, anche se praticato empiricamente.
Purtroppo, nel corso degli anni la città di Taranto è stata anche teatro della Seconda Guerra Mondiale, nonché di una forte industrializzazione. La maricoltura è riuscita a sopravvivere a questi eventi, senza che sia stata pienamente attuata una gestione sostenibile delle risorse naturali.
L’esperienza di Cerruti potrebbe suggerire a ricercatori e decisori una serie di azioni mirate per la salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità: la stratigrafia e caratterizzazione chimica del fondo marino per l’individuazione di vecchi e nuovi inquinanti; l’interpretazione del risultati tenendo conto degli eventi storici e delle catastrofi che hanno interessato la città; l’applicazione delle migliori pratiche nella molluschicoltura.
L’auspico espresso è quello di una maggiore interazione tra scienza e politica. “Cerruti e il suo approccio ecologico della guerra – si legge – sembra suggerire ai ricercatori di mantenere la loro indipendenza e di tradurre la conoscenza scientifica in risultati utili per l’intera comunità. Questo messaggio potrebbe suonare come un avvertimento in un’era in cui la ricerca scientifica potrebbe essere in pericolo e diventare più dipendente dalle contingenze politiche”.
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