Taranto e il suo Piccolo Grande Mare: quando sboccerà davvero l’amore?
TARANTO – E’ la prima domenica di ottobre e siamo quasi soli sulle sponde del mar Piccolo. Con noi, a qualche decina di metri, un giovane papà è appena sceso dall’auto per esplorare il territorio insieme ai suoi figli. Sono due bimbi curiosi e vivaci, ma rispettosi della quiete e dell’ambiente. Fanno domande al padre senza urlare e si muovono nella natura quasi in punta di piedi, pronti a bere ogni centimetro di mare con gli occhi.
E’ una giornata calda e gradevole. In molti avranno sicuramente approfittato del tempo clemente per riversarsi sulla litoranea e concedersi gli ultimi tuffi di un’estate che si è dilatata di qualche settimana. Eppure, qui, lungo la costa del secondo seno, c’è un piccolo mare che aspetta solo di essere “goduto”. E non solo perché a poca distanza si estende l’oasi WWF “La Vela”, uno scrigno di tesori naturali e faunistici che fa invidia al resto d’Italia.
Qui, intorno al mar Piccolo, ci si immerge in una realtà di pace e benessere che pochi altri angoli del territorio ionico possono offrire. Questo luogo dimenticato ci rivela anche la vera anima di una comunità distratta, che percorre la Circummarpiccolo solo per raggiungere il luogo di destinazione, senza badare all’incantevole bellezza che si estende oltre i margini della strada.
Taranto, in fondo, è proprio questo: una città bendata che vive di luoghi comuni, abitudini consolidate e rancori più o meno repressi, pronti a trasformarsi in rabbia o autocommiserazione, oggi anche sui Social Network. Basterebbe poco, invece, per scoprire che oltre il proprio confine mentale e fisico esiste un mondo ampio e stimolante. Mar Piccolo ci racconta quello che siamo e quello che potremmo diventare.
Nello stesso metro di terra, i colori meravigliosi della natura convivono con la spazzatura generata dagli uomini. Anche qui lo stesso imbarazzo che si vive attraversando le vie della città, dove bisogna scegliere se concentrare lo sguardo sul degrado dei marciapiedi o sulla bellezza che ci circonda. Le reti abbandonate dai pescatori, i primi che dovrebbero amare e tutelare questo angolo di Paradiso, rappresentano anch’esse un oltraggio all’ambiente, come le ciminiere dell’Ilva che si stagliano minacciose all’orizzonte, le baracche e le costruzioni abusive che deturpano la costa, i rifiuti ammassati tra l’erba e quelli gettati nella profondità delle acque. Senza dimenticare il Pcb e le diossine che hanno inquinato il primo seno rendendolo off limits per la mitilicoltura. L’attenzione selettiva, questa volta, ci spinge a cogliere quanto di piacevole ci offre il panorama, ma vi assicuriamo che il nostro cammino somiglia ad una ginkana mirata a scansare cumuli di immondizia.
Questo posto merita rispetto. Sia da parte dei cittadini che da parte delle istituzioni. Il Comune di Taranto, che nei mesi scorsi ha annunciato una svolta all’insegna della “tolleranza zero” nei confronti degli sporcaccioni, ha il dovere di impegnarsi in una battaglia di civiltà che veda proprio le sponde del mar Piccolo come terreno di una riscossa culturale. E soprattutto, occorre spingere i tarantini a riappropriarsi di questi luoghi stimolando l’attenzione, la cura e l’amore per il bello, fornendo nuovi strumenti di partecipazione e di fruizione di questo prezioso bene comune. “La bellezza salverà il mondo”, scriveva Fëdor Dostoevskij. O almeno una parte di esso, aggiungiamo noi.