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La domenica al supermercato: è un piacere per tutti?

C’è chi rimpiange le domeniche di una volta, quelle in cui le uniche attività commerciali aperte erano le pasticcerie nelle quali si comprava la classica “guantiera” di dolci da consumare alla fine del pranzo più ricco di tutta la settimana. Erano domeniche scandite, per la maggior parte della gente, da due appuntamenti fissi: la messa mattutina e il calcio pomeridiano.

Enrico Ameri e Paolo Valenti con le loro trasmissioni “Tutto il calcio minuto per minuto” e “Novantesimo minuto” erano voci familiari per tutti gli appassionati del calcio che seguivano i risultati e i commenti delle partite in diretta da casa, magari con un occhio alla schedina, sperando nel colpaccio milionario. La routine era la regola degli anni ’60 e ’70, in una società ancora imbrigliata dal conformismo e dalla lentezza del vivere. Certamente, a parte la nostalgia che il passato induce, sono sicuro che pochissimi rivivrebbero serenamente quelle domeniche tutte uguali e in tanti invece proverebbero, in un improbabile viaggio nel passato, soltanto noia e angoscia, abituati come siamo ai ritmi dell’attuale società.

La domenica era riposo e divertimento (quando possibile) e il lavoro festivo era considerato una vera e propria eccezione, una iattura destinata agli sfortunati turnisti visti quasi con commiserazione. Da allora tutto è cambiato. Rapporti sociali e familiari, situazioni economiche, tecnologia delle comunicazioni, regole del lavoro, anticonformismo, hanno provocato, in pochi lustri, una trasformazione del nostro modo di vivere portandoci verso la cosiddetta “società liquida” del sociologo Zygmunt Bauman, in cui assenza di regole e individualità sfrenata ci fanno vivere soltanto nel segno di un presente in continua trasformazione.

La deregulation del lavoro e del mondo commerciale, spacciata per strumento di crescita economica e sociale, ha stravolto la vita di chi si è visto lentamente depredare del diritto di godere del riposo domenicale e più in generale festivo. Negli anni, sempre più Comuni hanno concesso aperture alle attività commerciali anche nei giorni di festa rompendo una tradizione che si fondava su antiche e dure lotte sindacali dei lavoratori.

Le timide proteste delle rappresentanze sindacali di categoria a tutela dei lavoratori del commercio (sottolineo lavoratori e non titolari di attività) non sono bastate a porre argine a queste deroghe alle chiusure festive che nel tempo sono diventate vera e propria regola.  A sancire definitivamente la resa ai “signori del commercio” ci ha pensato il Decreto Legge “Salvaitalia” convertito nella legge n. 214 del 2011 che, nell’art. 31,  liberalizza giorni e orari di apertura delle attività commerciali.

Le Confcommercio locali hanno cercato, in verità, di regolamentare le aperture dei negozi iscritti a queste associazioni, riuscendo a limitare soltanto ad alcuni festivi questa nuova possibilità, senza farla divenire una consuetudine. I grandi ipermercati e i grossi centri di distribuzione, generalmente non iscritti alle Confcommercio, hanno invece usufruito appieno di questa opportunità di incremento d’affari: orari continuati e aperture festive sono ormai la regola, con buona pace di tutti, lavoratori compresi che ormai neanche più protestano.

Anzi, in un comparto, cosa comune ad altri settori, in cui gli stipendi medi dei lavoratori sono decisamente più bassi di quelli dei colleghi di altri Paesi europei, l’indennità festiva serve ad arrotondare le entrate, facendo dimenticare il significato etico e sociale della festività. E i consumatori? Solidali con i lavoratori, ma solo a parole. Le file per raggiungere gli ipermercati e la ressa di chi spinge i carrelli colmi alle casse nei giorni festivi sono l’evidente prova di come siamo ben lontani da quel tempo in cui le domeniche erano tutte chiesa e pallone.

Giuseppe Aralla

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Giuseppe Aralla

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