Nelle ultime assemblee in Ilva finalmente i sindacati iniziano a fare le prime ammissioni: parlano di esuberi, di lavori praticamente fermi, nei migliori dei casi, o addirittura mai iniziati. Minacciano scioperi e volantinaggi in città per presentare una piattaforma rivendicativa, condivisa con i lavoratori, dicono. Peccato che in realtà lo sciopero in questione è stato proclamato per il 19 luglio e che quindi non ci sia il tempo per costruire una piattaforma rivendicativa con i lavoratori.
A questo punto la domanda nasce spontanea: è possibile che i nostri eroi sindacalisti attendano la pappa pronta da Roma, per poter poi indire un referendum farsa sul modello Fiat o Alitalia? E poi, con che coraggio si presenteranno ai Tarantini dopo che, nell’ultimo sciopero, hanno nuovamente proposto di bloccare la città? Cosa prometteranno a cittadini e lavoratori se sono sempre stati deboli con i Riva prima e con il Governo ora, non parlando mai di salute e sicurezza? Quale credibilità pensano di avere ancora se, oramai, in fabbrica, non parlano più neanche della presenza di amianto?
Vogliamo ricordare a tutti che a denunciare la presenza di amianto fu addirittura Bondi. Ad oggi non sappiamo se questa fibra killer sia stata rimossa e se i lavoratori, oltre alle decine di agenti inquinanti respirati ogni giorno, debbano anche lavorare in presenza di amianto. Questo i sindacati lo sanno bene e tacciono, rendendosi complici di chi si ostina a voler tenere in marcia reparti dannosi per la salute di cittadini e lavoratori. Nel frattempo a Roma, il Governo continua a fare due pesi e due misure dimostrando, ancora una volta, tutta la sua incapacità a trattare l’ “affaire Ilva” nella sua complessità e interezza: stesso problema, due tavoli separati, uno per Genova, presieduto da Gentiloni, durante il quale è stata rimarcata l’importanza dell’accordo di programma del 2005 e l’assoluta necessità che diventi parte integrante dell’offerta Mittal, e l’altro, quello per Taranto, durante il quale è stata sottolineata l’importanza strategica del sito ionico per l’Italia e per il pil nazionale; della salute di cittadini e lavoratori e della loro sicurezza neanche a parlarne. Mentre a Bari il Presidente della Regione continua a latitare. Doveva studiare le carte, ci disse; dopo averlo fatto è diventato sostenitore del gas. Ora, semplicemente, tace. A lui ricordiamo, che mentre resta in silenzio, a Taranto, si continua a morire, si continua a dover tenere le finestre chiuse in base al vento che tira, si continua a consentire che un intero quartiere resti prigioniero dello stabilimento. Per l’Ilva di Taranto urge un accordo di programma che possa ridare una speranza alla città, la speranza di una vita normale.
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