Mottola, Castellaneta, Palude La Vela: la nostra è terra bruciata
TARANTO – Da Mottola a Castellaneta Marina passando per la Palude La Vela: brucia il verde ed aumentano sempre più le terre brulle e arse. Bruciano i boschi, la macchia mediterranea, le canne palustri e bruciano le nostre speranze, brucia ciò che ancora resiste alla cementificazione e alla desertificazione industriale.
La nostra terra è una metafora della società in cui viviamo: sempre più piatta, spoglia, essenziale, intollerante. Polvere della terra arsa e fumo degli incendi si mischiano ad altro fumo e ad altra polvere delle industrie: tutto si fonde in un paesaggio in cui verde e azzurro sbiadiscono, trasformandosi nella monotonia del grigio.
Lo squallore della periferia industriale cresce a dismisura ben oltre i confini dell’industria. Quella terra di nessuno che circonda l’area industriale, fatta da campi abbandonati da decenni perché troppo vicini alle fonti inquinanti, diventa paesaggio dominante per chilometri e chilometri per chi percorre le strade in uscita dalla città nel versante occidentale.
Terra da sempre avara la nostra. Terra di sole e di siccità che, solo grazie al lavoro durato secoli e secoli, contadini e braccianti avevano reso coltivabile e fertile. Terra difficile che non regala nulla. Terra pietrosa, in cui la vite e l’ulivo succhiano la sostanza alla roccia, come solo il miracolo della Natura può permettere. Abbandono e incuria rendono i campi facile preda del fuoco che sfregia alberi secolari, ricordo di antiche fatiche che meriterebbero ben altro rispetto e attenzione.
La città in cui mediamente vi è meno di 1/10 di verde urbano per abitante rispetto alla media nazionale (dati Istat 2013), non rispetta neanche il verde extraurbano e ogni estate nelle periferie bruciano quei pochi alberi e arbusti che restano rendendo il paesaggio spoglio e anonimo. Non solo periferie, ma addirittura veri e propri polmoni verdi bruciano, come nel caso della palude La Vela: i 2/3 della pineta – come spiega Fabio Millarte, presidente del WWF Taranto – sono distrutti e molti pini continuano a cadere perché le radici sono carbonizzate; anche la macchia mediterranea è devastata; non esiste più il sentiero delle pregiatissime orchidee selvatiche e nemmeno il capanno per il birdwatching.
I boschi dell’arco ionico si sono ridotti a veri e propri relitti di foreste che ricoprivano gran parte della fascia costiera fino all’inizio del secolo scorso. Manca completamente la cura del paesaggio nel nostro territorio, l’attenzione al bello, e alla protezione del verde che renderebbero un piacere percorrere strade periferiche e viottoli di campagna più prossimi alla città. La valorizzazione del territorio, concetto abusato e spesso incompreso, parte dalla cura dei particolari, dalle piccole cose che caratterizzano un’area.
Valorizzare significa ripristinare e rendere fruibile ciò che già esiste, mantenere l’essenza che rende unico un posto. Ma, purtroppo, dopo l’abbandono dei campi da parte di tanti agricoltori, il degrado prende il sopravvento e così le nostre aree più periferiche diventano ricettacolo di rifiuti e terra bruciata. I muretti a secco, veri gioielli della civiltà contadina, si arrendono all’incuria e sono spesso destinati a tornare pietra nella terra, in un ciclo che chissà se mai ricomincerà. Siamo sempre più civiltà del nulla, dimentica delle nostre radici e perciò incapace di proteggere il proprio patrimonio culturale e naturale.