Taranto al voto, Bitetti torna a casa e la Baldassari resta sola
TARANTO – Si torna alle origini. Il centro-sinistra si ricompatta e torna a proporre una sorta di Stefàno ter, riveduto e corretto. Il candidato sindaco Rinaldo Melucci (Pd) ha incassato il formale apparentamento della lista «Taranto Bene in Comune», presentata da Piero Bitetti (presidente del Consiglio Comunale uscente).
Come riporta il collega Fabio Venere sulla Gazzetta del Mezzogiorno on line, alle 12,35 di oggi, la segreteria generale del Comune di Taranto ha chiuso l’ufficio registrando solo questo apparentamento. Inoltre, Melucci potrà contare sul sostegno di Massimo Brandimarte, candidato sindaco di «Sds» e della lista civica che porta il suo nome.
Quello di Bitetti rappresenta un discreto bottino di voti: al primo turno aveva conquistato, infatti, l’8,1% dei voti. Questo pomeriggio, alle 17.30, nella sede del comitato di via Principe Amedeo 144, Bitetti e Melucci terranno una conferenza stampa per spiegare la decisione di unire le forze.
«E’ questa la politica dei tatticismi che non mi appartiene – è la reazione di Stefania Baldassari (centro-destra), sfidante di Melucci al ballottaggio del prossimo 25 giugno – pertanto io andrò avanti da sola, contando solo su un unico apparentamento reale: quello con gli elettori a cui come candidato sindaco offro in garanzia un’unica morale, un’unica coerenza, un unico impegno, come si fa tra persone perbene».
Secondo la Baldassari “è tempo di un segnale chiaro che parta ad esempio dall’orgoglio di questa città che non può essere violentata all’infinito dagli stessi personaggi che sotto mentite spoglie governano l’andazzo di sempre. Gettate la maschera, abbiamo capito chi siete! Faccio mio il pensiero espresso dai Genitori Tarantini: “Noi non dimentichiamo!”.
Ovvio il tentativo di strizzare nuovamente l’occhio all’elettorato ambientalista. Atteggiamento messo in atto dai due sfidanti. Ma entrambi si portano dietro ombre non di poco conto. Le figure dell’on. Michele Pelillo (Pd) e Michele Tamburrano (FI) con le loro posizioni notoriamente poco “green” (vuoi pro Ilva o pro discariche) incombono come macigni su un voto che ha tagliato fuori dal ballottaggio tutti i candidati più vicini alle tematiche ambientali, penalizzati dalla scelta di competere divisi.