Ilva Taranto, priorità salute e lavoro: il futuro da ipotesi tecniche (fattibili) Di seguito, l’analisi e il parere del gruppo di ingegneri Riordiniamo l’Ordine, che per l’occasione si è avvalso del prezioso contributo degli ingegneri Cosimo Mantua e Roberto Ravera.
Sul futuro dell’Ilva, nelle ore in cui a Roma si valutano le offerte di acquisto, le ipotesi di cui oggi intanto si dibatte in Città prevedono essenzialmente due possibili scenari:
a) Chiusura dello stabilimento e riconversione dell’area
b) Mantenimento della struttura con un forte ridimensionamento e utilizzo di risorse in esubero per la bonifica
Secondo noi tecnici, è possibile prendere in considerazione altre ipotesi per conciliare il lavoro con l’ambiente. Tracciare un altro percorso è possibile, dunque, attraverso una serie di azioni che trasformi uno stabilimento ad alto impatto ambientale in uno stabilimento a produzione ecocompatibile, con il dichiarato obiettivo di consentire di lavorare e vivere senza dover rinunciare al diritto alla salute.
Al termine di questa trasformazione, nella nostra idea, l’attuale stabilimento siderurgico dovrebbe diventare una acciaieria che produca acciai di qualità, legati e di tipo strutturale.
Il mercato
Nello stabilimento di Taranto vengono prodotti tubi, rotoli e lamiere per uso non strutturale (automobili, condotte, ecc.) caratterizzati da un costo unitario basso. Ma le previsioni del mercato indicano una contrazione anche per il crescente utilizzo di materiali plastici e compositi. Si stima, invece, una sostanziale tenuta del settore degli strutturali (acciai per costruzioni in carpenteria, tondini, ecc.) e degli acciai speciali per l’industria meccanica, automobilistica e navale.
L’attuale produzione Ilva e il suo impatto ambientale. Cosa fare?
Gli effetti sull’ambiente sono attualmente generati dall’area a caldo (cokeria e altiforni) che nella catena del valore della produzione siderurgica genera la parte di valore aggiunto percentualmente inferiore. La trasformazione dallo stato attuale ad un modello compatibile potrebbe avvenire in modo progressivo, riducendo l’area a caldo e sostituendo progressivamente la mancata produzione con l’approvvigionamento di preridotto e, successivamente, di pani di ghisa da convertire.
Come fare?
Si potrebbe iniziare, praticamente da subito, a ridurre la produzione di ghisa dell’area a caldo entro limiti compatibili con i sistemi di filtrazione esistenti in area agglomerato ed altoforni (adesso sovraccarichi rispetto ai valori che possono sopportare) e sostituire il fabbisogno di ghisa necessario a mantenere le necessità di produzione – come da impegni assunti sul mercato – con l’approvvigionamento di pani di ghisa da convertire.
Questa scelta comporterà un potenziamento dell’energia necessaria ai convertitori. Naturalmente, occorrerà mettere in atto misure di riduzione del rischio di slopping, conseguenza dell’aumento di potenza dei convertitori. La riduzione dei rischi risulta fattibile (vi sono state esperienze tecnicamente positive in tal senso in Acciaieria 1 e 2). Ma i sistemi per la lavorazione dei pani di ghisa andrebbero opportunamente ritarati per adeguarli a questo tipo di attività. Si pensi che la sola sostituzione della produzione a caldo con l’acquisto di pani di ghisa potrebbe abbattere l’impatto ambientale di circa l’80%, potendo migliorare questo valore con ulteriori interventi sugli impianti di trasformazione dell’acciaio.
Un mercato nuovo
Il riposizionamento commerciale dello stabilimento si potrebbe ottenere spostando il mix di produzione verso acciai di maggiore qualità, strutturali e legati. Prodotto che richiede maggiore capacità tecnologica (a Taranto non certo carente!), che garantirebbe anche più ampi margini operativi e valore aggiunto, tutelando ed invogliando investimenti in un mercato ormai estremamente competitivo.
I parchi minerali
La riduzione dell’estensione e dei volumi dei parchi minerali, ad una dimensione compatibile con una copertura tecnicamente fattibile ed economicamente sostenibile, consentirebbe un riposizionamento tale da avere entrambe le tipologie (minerale e carbon coke) in un’unica fascia a ridosso delle cokerie. Per realizzare questa configurazione occorrerà una revisione del sistema di nastri trasportatori di adduzione e di prelievo.
Ciò, inoltre, consentirebbe la dismissione scaglionata delle prime due file di parcatura materie prime (e delle relative macchine di messa a parco) a ridosso del raccordo della superstrada Grottaglie-Porto. In termini di miglioramento dell’impatto ambientale si ottiene un primo (in prospettiva non unico) allontanamento della zona “sporca” dalla città di circa 250 m, in un periodo di tempo stimabile in circa un anno.
Una ipotesi
Ottenuto nel breve tempo questo importante risultato, che produrrebbe immediatamente un miglioramento della situazione ambientale, il percorso della ecocompatibilità della produzione si completerebbe con la conversione progressiva degli impianti di riduzione e fusione in impianti a riduzione diretta, anche con l’utilizzo (senza impatto ambientale) di forni elettrici o della tecnologia Corex, che consentirà la conseguente dismissione degli impianti coke, agglomerato, altoforno in un arco temporale che si dovrebbe completare in un lasso di tempo stimabile tra 5 e 8 anni.
In questo periodo di tempo, i miglioramenti saranno continui e in diretta proporzione con l’avanzamento del piano di dismissione. Al termine degli otto anni si otterrebbe una completa ecocompatibilità della produzione, in linea con i migliori impianti a cui spesso si sente fare riferimento sui media. Quanto alla produzione della parte restante di ghisa, qualora necessaria per l’alimentazione dei convertitori, esistono tecnologie basate sulla produzione di ghisa direttamente dal minerale, senza la produzione di Carbon coke, eliminando quindi le fonti inquinanti; la tecnologia Corex, ed solo un esempio, risulterebbe essere economicamente piuttosto dispendiosa e con livelli bassi di produttività.. ma se la sua applicazione risultasse marginale rispetto ai volumi di produzione, potrebbe risultare applicabile.
Attualmente questa tecnologia è utilizzata presso gli impianti di Baosteel Pudong, a Shangai (mostrato in foto), e genera una produzione di 1,5 milioni di tonnellate con un impatto ambientale praticamente nullo. Occorre evidenziare che allo stato dell’arte esistono anche altre tecnologie valide e comparabili, di cui alcune orgogliosamente italiane, che possono essere prese in considerazione in un’analisi tecnica più approfondita.
Spazi liberi
Con questo piano, possono essere progressivamente liberate intere e vaste aree da bonificare e restituite alla città di Taranto per i nuovi scenari produttivi e turistici che è auspicabile si consolidino e crescano nel prossimo futuro. Occorrerà tuttavia individuare idonei strumenti economici e legislativi che rendano compatibile questo obiettivo con il vincolo che pone la proprietà dell’Ilva sui terreni in questione.
Le azioni di bonifica ridurrebbero al minimo l’impatto occupazionale che si registrerebbe nel periodo transitorio, se si attingesse per la realizzazione al bacino di manodopera e di tecnici che insiste sul territorio: questo consentirebbe il mantenimento dei livelli occupazionali (sia nell’immediato sia a regime) grazie all’aumento di produzione che deriverebbe dall’introduzione dei nuovi prodotti nel mix dello stabilimento.
Come utilizzare le aree liberate
Nelle aree liberate tante potrebbero essere le iniziative di valorizzazione del patrimonio umano e tecnologico esistente, attraverso iniziative, anche non legate all’industria. Si pensi, per esempio, all’istituzione di un museo della siderurgia, che potrebbe essere realizzato con le risorse, materiali e umane, presenti sul territorio: in Germania questa iniziativa è già esistente ed impegna anche personale (lì attinto dal bacino dei pensionati) esperto nella produzione siderurgica.
Le idee sin qui espresse non pretendono di essere la migliore soluzione ad un problema complesso e delicato come la vicenda Ilva/Taranto, ma vogliono solo rappresentare un esempio di come, affrontando un problema in termini pragmatici e con la conoscenza tecnica delle soluzioni fattibili, sia possibile cercare un futuro per la nostra città. Per cercare la strada migliore, con questo documento gli ingegneri intendono “gridare” la propria disponibilità ad essere parte attiva e riferimento tecnico per tutte le parti sociali e le istituzioni che hanno a cuore il destino della nostra amata terra.
Il gruppo RiordiniAMO L’ORDINE auspica che l’Ordine degli Ingegneri della provincia di Taranto, aprendo un tavolo tecnico con l’ausilio dei colleghi esperti del settore, possa discutere di questa proposta, e porsi alle parti sociali (istituzioni ed opinione pubblica) come punto di riferimento tecnico, grazie alle professionalità di cui la nostra categoria è dotata sul territorio, e che spesso vediamo “esportare” all’estero per consulenze su impianti in costruzione.
Redatto dal gruppo di ingegneri di RiordiniAMO L’ORDINE, con il contributo determinante dei colleghi ing .Roberto Ravera e ing. Cosimo Mantua
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