TARANTO – Ci stanno prendendo in giro e non è uno scherzo, ormai è evidente: sono circa 6.000 gli esuberi previsti dal piano industriale della cordata Arcelor Mittal-Marcegaglia, scelta dai Commissari straordinari per subentrare nella gestione di Ilva. Pur considerando che il numero verrà ridimensionato nel solito balletto delle trattative con i sindacati, i tagli ci saranno e peseranno come un macigno su Taranto in particolare, visto che a Genova la cura dimagrante è stata già fatta negli anni passati.
Da 14.220 attuali dipendenti, di cui 4100 già in cassa integrazione straordinaria, si arriverà, nel giro di pochi anni, a soli 8480 stabilizzati. Non sarà la subentrante Arcelor Mittal Marcegaglia, la cordata scelta tra le due concorrenti, a tagliare il personale: il “lavoro sporco” lo farà l’Amministrazione straordinaria che permarrà in carica fino al completamento del piano e fino alla conclusione delle opere di bonifica degli impianti che verranno finanziate con una parte del denaro frutto del patteggiamento dei Riva col Tribunale di Milano e in rientro dalla Svizzera.
Tagli del personale di cui lo Stato si farà carico con interventi di assistenza al reddito e relative proroghe che dureranno anni ed anni; arrivo del tesoretto sequestrato ai Riva per portare avanti la cosiddetta ambientalizzazione (il correttore automatico continua a darci come errore questo termine) degli impianti; immunità penale per decreto per i nuovi acquirenti. Potremmo essere tutti capitani d’industria a queste condizioni!
Il tutto avviene mentre, con criterio scientifico, è in atto il tentativo di mettere la sordina ai problemi ambientali e sanitari da parte della maggioranza dei candidati a sindaco della città che promettono di garantire la compatibilità della futura acciaieria con la realtà cittadina che amministreranno una volta eletti. Persino Landini, grande sponsor della continuità produttiva, ha espresso critiche per la mancata chiarezza dei piani industriali presentati e questo è senza dubbio un segnale che dice molto sulla vaghezza del futuro di Ilva.
Quanti diventeranno allora i dipendenti di Ilva Taranto? Saranno quelli indicati da Ilva nella slide riportata in alto? Quanto perderà ancora l’indotto, già adesso in sofferenza per la riduzione delle commesse e per i crediti non riscossi con la precedente gestione? Quanto costerà ancora allo Stato il sostegno al reddito per i dipendenti in esubero? Soldi che si sommeranno a quelli già spesi in questi anni di gestione commissariale, a quelli spesi per curare l’eccesso di malattie, a quelli spesi per le bonifiche, a quelli persi dagli allevatori e mitilicoltori, a quelli persi per i turisti che non arrivano.
Taranto, città a vocazione industriale? Poteva forse essere vero quando i dipendenti di Ilva erano diverse migliaia in più di quelli che i nuovi piani industriali prevedono. Seppur discutibile ed eticamente scorretto, lo scambio inquinamento-occupazione si basava sul gran numero di famiglie che di Ilva vivevano: ma adesso il gioco vale ancora la candela?
Non sarebbe stato meglio che lo Stato avesse impiegato le risorse messe a disposizione per Ilva, in questi anni, per un serio programma di cambiamento che avesse previsto chiusura e riconversione economica? Domande che ci poniamo già da tempo, ma che assumono una maggiore forza alla luce degli imminenti tagli al personale.
Taranto resterà una città industriale che di industria non vivrà, ma bensì sopravviverà, condizionando comunque un intero territorio che di questa scelta pagherà le conseguenze, come prima e forse peggio di prima. Questo lo scenario futuro che ci aspetta, a meno che… non arrivi la sorpresa di un sindaco che scompigli piani industriali e piani del governo, che non assecondi cioè la volontà di chi ha come obiettivo principale solo produzione e profitto in una città cristallizzata da decenni.
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