Ilva, ampliamento cava: arriva il “no” del Comune di Statte su alcuni lotti
TARANTO – Novità sul fronte della cava Mater Gratiae. Sul sito del Comune di Statte è stato recentemente pubblicato il provvedimento finale (Determina del Responsabile del Servizio n°388 del 24/04/2017) relativo alla procedura di VIA avviata dalla Società ILVA SPA per la coltivazione di Cava in Località MATER GRATIAE.
Il procedimento – attivato con istanze presentate alla Regione Puglia nel 2010 e nel 2014 – riguarda la proroga e l’ampliamento della concessione mineraria ottenuta nel 1990 (durata ventennale) per lo svolgimento dell’attività estrattiva nella cava di calcare calcitico. Dalla cava “Mater Gratiae”, situata all’interno dello stabilimento siderurgico, l’ILVA S.p.A. preleva circa 1.100.000 ton/anno di pietra calcarea che (dopo processo di frantumazione/macinazione e vagliatura) viene utilizzata nelle diverse fasi del processo siderurgico.
Partiamo dalla fine e cioè dalle conclusioni del provvedimento. Il responsabile del procedimento (Comune di Statte) esprime giudizio positivo per la compatibilità ambientale del progetto per le sole aree graficamente individuate nella tavola 2c della Planimetria quotata e sezioni lotto 8min, di prosecuzione in proroga di cui all’autorizzazione Decreto 8/MIN con una serie di prescrizioni richieste da Arpa Puglia, Asl Ta 1, Comune di Statte. Si tratta di misure di compensazione e di mitigazione di vario tipo.
Diversa la decisione, invece, rispetto ad altre parti del progetto.
Il provvedimento, infatti, esprime giudizio negativo per la compatibilità ambientale per le restanti aree graficamente individuate dalla tavole 2a e 2b delle Planimetrie quotate e sezioni lotto 1 e 2 in ampliamento rispetto ai volumi autorizzati con Autorizzazione Decreto 8/MIN, e di conseguenza stabilendo il divieto alla società Ilva di esercitare l’attività estrattiva nelle aree di ampliamento.
Inoltre, in esecuzione al provvedimento di approvazione dell’Analisi di Rischio trasmesso dalla Regione Puglia con nota prot. 4030 del 03.04.2017, l’Ilva Spa dovrà presentare il progetto operativo degli interventi di bonifica contenente le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione già presente nel sito. Ovviamente, l’Ilva ha già presentato ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale contro tale provvedimento.
Non è la prima volta. Il 9 febbraio 2016, infatti, l’Ilva aveva presentato ricorso al Tar avverso il silenzio del Comune di Statte al fine di ottenere una favorevole conclusione del procedimento VIA in questione o comunque la sua conclusione attraverso l’adozione di un provvedimento espresso. Il Tar di Lecce – Sezione III, con sentenza n. 263 del 2017 – ha ordinato al Comune di concludere il procedimento.
Il parere negativo in merito ai due lotti trova ampia giustificazione nel contesto in cui si inserisce il progetto presentato dall’Ilva: un’area già gravata dalla presenza di svariate attività in esercizio: una discarica di rifiuti speciali pericolosi Ilva; tre discariche di rifiuti speciali non pericolosi (Ilva, Italcave e CISA per oltre 10 milioni di metri cubi); un deposito di rinfuse petcoke (Italcave); lo stabilimento siderurgico Ilva; la cava di estrazione inerti della CMA; la cava di estrazione inerti della Nuova Edilcomer; la Raffineria Eni; il cementificio Cementir.
Vengono indicati anche i siti non più in esercizio ma ancora fonti di potenziale contaminazione, compresa la discarica “Mater Gratiae N-W”, che occupa una superficie complessiva di 170.000 mq per una capacità ricettiva totale di 1.500.000 metri cubi. D’altronde si tratta di un territorio perimetrato come “area ad elevato rischio ambientale” attraverso la Legge n. 349 dell’8 luglio 1986.
Si spiega, inoltre, che la distanza dal centro abitato delle aree di cava oggetto del procedimento risulta di appena 110 metri. La prima abitazione di tipo residenziale (zona Feliciolla) dista soli 180 metri. “Sul punto Ilva non ha avanzato alcuna osservazione – si legge nel documento – né ha indicato alcuna misura di mitigazione”. Le dimensioni areali dell’intervento risultano notevoli: circa 320 ettari. Viene segnalato, inoltre, che per le attività di recupero ambientale delle aree di cava possono essere impiegati in operazioni R10 quindici tipologie di rifiuti per un volume massimo complessivo pari a 30,2 milioni di metri cubi. In pratica, tale area potrebbe contenere oltre 250 arene come il Colosseo di Roma.
STATTE: UN TERRITORIO GIA’ COMPROMESSO
Nel corso del 2014 sono state effettuate all’interno dell’intero territorio di Statte (e dunque anche nelle aree oggetto di tale procedimento) le indagini previste dal Piano della Caratterizzazione esaminato ed approvato nell’ambito della Conferenza dei Servizi del 20/12/12 e del 15/01/2013 dalla Regione Puglia. Indagini validate dall’Arpa Puglia nel dicembre 2015.
I risultati delle analisi di laboratorio effettuate sui terreni durante l’esecuzione dei sondaggi dimostrano superamenti diffusi delle CSC di riferimento per il parametro Berillio e per gli altri metalli pesanti sui campioni di top-soil e di terreno superficiale fra 0 e 1 metri di profondità. Superamenti sono stati riscontrati anche in riferimento a composti organici come Ipa, Pcb e Diossine all’interno del terreno superficiale del sito in esame. Accertati superamenti nei composti organici e inorganici all’interno del terreno profondo (tra 1 e 1,5 metri).
Insomma, il quadro di inquinamento ambientale sull’intera area amministrata dal Comune di Statte ha assunto valori di contaminazione molto più rilevanti proprio nelle aree oggetto dell’istanza di VIA presentata da Ilva per la cava in questione. Diverse le sorgenti di contaminazione individuate: per i metalli pesanti una sorgente coincide con il settore a nord est della Gravina di Leucaspide dove è stata rilevata la presenza di un terreno di riporto contenente scorie di fonderia.
Altra sorgente si trova a sud est della stessa Gravina sempre contenente scorie di fonderia. Un’unica ampia sorgente è a est del tracciato della Gravina di Leucaspide, corrispondente ad un’area diffusamente interessata dalla presenza di terreno di riporto e rifiuti interrati. Infine, risulta una sorgente puntuale caratterizzata da superamenti di CSC di riferimento per il parametro Hg.
Per quanto concerne i composti organici (Ipa, Pcb e Diossine), due sorgenti più estese coincidono con le aree con presenza di terreno di riporto a nord est e sud est della Gravina di Leucaspide, proprio come risulta per i metalli pesanti. Le simulazioni effettuate da Arpa hanno evidenziato un rischio sanitario associato alla contaminazione presente nel terreno superficiale del sito per diversi composti: arsenico, mercurio, alcuni IPA, PCDD (Diossine) e PCB. Un quadro così grave, quindi, da non consentire nessuna ulteriore fonte di potenziale contaminazione.