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Ilva e inquinamento, quanto tempo ancora per la bonifica del Sin di Taranto?

TARANTO – Copre 4.383 ettari (43 km quadri) l’area del territorio terrestre tarantino che la legge 426/98 e IL successivo D.M. del 01/2000 indicò come area SIN e cioè sito di bonifica di interesse nazionale di competenza del Ministero dell’Ambiente. Un’estensione maggiore dell’area urbana di Taranto e grande circa 1/5 dell’intera superficie comunale.

Un’area classificata SIN perché comprendente insediamenti industriali ad alto impatto ambientale e perché le indagini effettuate avevano evidenziato, attraverso le caratterizzazioni preliminari, superamenti delle concentrazioni soglia consentite (CSC) e delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).

L’area risulta ben più grande se si considerano anche gli oltre 7000 ettari (70 km quadri) di mare comprendenti la fascia costiera portuale del Mar Grande e del Mar Piccolo che, soprattutto nel primo seno, evidenzia una preoccupante contaminazione da diossine e metalli pesanti. Questo mare interno risente dell’apporto continuo di inquinanti perché si trova esattamente sulla linea di falda che in esso scarica dopo aver attraversato l’intera area industriale.

Ricordiamo che nel 2010, era stato presentato uno studio di caratterizzazione privato (Ilva) che riguardava la falda superficiale e profonda. I dati erano risultati decisamente allarmanti: superamenti, per quanto riguarda la falda superficiale, per Manganese, Ferro, Alluminio, Arsenico, Cianuri totali, Dicloropropano, Benzo(a)pirene, Benzo(a)antracene, Triclorometano, Nichel, Benzo(k)fluorantene, Cromo esavalente, Benzene, Benzo(g,h,i,)perilene, Indenopirene, Benzo(b)fluorantene, Dibenzo(a,b,)antracene, ecc.

Per quanto riguarda la falda profonda, i superamenti riguardavano: Piombo, Ferro, Manganese, Triclorometano, Alluminio, Tetracloroetilene, Cromo, Nichel, Arsenico, Benzo(a)antracene, Benzo(a)apirene, Benzo(k)fluorantene, 1,2-Dicloropropano.

Paradossalmente non fa invece parte del SIN Taranto il Quartiere Tamburi, malgrado alcune indagini abbiano evidenziato livelli di inquinanti nel suolo superiori alle CSC tanto da indurre il sindaco ad emettere ordinanze di divieto di manipolazione della terra e malgrado alcune aree su cui esistono scuole pubbliche siano state sottoposte a bonifiche dopo essere state dichiarate di competenza del Commissario per le bonifiche.

Non conosciamo esattamente lo stato dei lavori di bonifica del SIN Taranto. È un dato non  chiaramente ricavabile dai siti istituzionali. Eppure una situazione così grave come quella ionica merititebbe il massimo della trasperenza e della completezza del Sia il sito del Ministero Ambiente (clicca qui), sia il sito del Commissario per le Bonifiche (clicca qui)
non forniscono esatte indicazioni su quanta parte del SIN di Taranto sia stata ad oggi effettivamente bonificata.  Difficile inoltre reperire i dati delle caratterizzazioni già effettuate che riteniamo dovrebbero essere rese pubbliche.

L’impressione, ma vorremmo sbagliarci, è che vi sia un enorme impegno in studi preliminari, sperimentazioni, modelli analitici, divulgazione didattica, interventi di bonifica più grossolana e quindi più facilmente eseguibile, senza però risolvere i veri problemi del territorio inquinato e cioè la bonifica completa di terreni, falda e mare.

Nel 2012 e in occasione di ogni decreto “salva Ilva” ci è stato raccontato che il mantenimento in attività della grande acciaieria sarebbe stata una garanzia per l’effettiva esecuzione degli interventi di bonifica e riqualificazione delle aree inquinate. Pseudo-esperti di economia e burocrati senza scrupoli ci hanno assicurato – per anni e in tutti i modi – che le bonifiche sarebbero state presto avviate e completate, riducendo così il rischio per la popolazione, a patto che la grande industria avesse continuato a funzionare.


Dal sito del Ministero dell’Ambiente, aggiornato al giugno 2016, come già ricordato in un precedente articolo del nostro direttore Alessandra Congedo (clicca qui), si evince che solo l’8% dei terreni e il 7% della falda dell’area SIN hanno subìto il completamento del processo di bonifica, raggiungendo livelli di inquinanti < delle CSC o delle CSR.

Vogliamo sperare che una percentuale così bassa sia dovuta esclusivamente al mancato aggiornamento dei dati, ma l’impressione è che effettivamente ci sia un grande ritardo nell’effettuazione degli interventi necessari a riportare falda e terreno in sicurezza. Quali le ragioni? Economiche, tecniche oppure organizzative? Mancano i finanziamenti? Si aspettano i rientri di capitali dalla Svizzera per procedere?

Ciò sarebbe cosa molto grave, poiché non si può condizionare un’operazione così urgente per la salute della popolazione all’esito di un procedimento penale ed amministrativo in corso. Altrettanto grave sarebbero le altre due possibili motivazioni a ragione della poca rapidità finora dimostrata nel procedere. Non vorremmo, e anche qui speriamo di sbagliare, che la vera motivazione all’origine di quell’8% di aree SIN completamente bonificate sia la mancata chiusura delle fonti inquinanti che renderebbe vano qualunque intervento risolutivo.

Giuseppe Aralla

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