TARANTO – Una mortalità superiore alle aspettative nelle aree più prossime alle acciaierie sembra essere la regola valida in tutta Italia, indipendentemente dalla tipologia di ciclo produttivo utilizzato. La popolazione di Taranto, Piombino, Bagnoli, Genova, Trieste, città sedi di industrie produttrici di acciaio, ha mostrato in diversi studi incidenze anomale di alcune patologie ed eccessi di mortalità soprattutto nei quartieri più vicini agli impianti industriali. In tutti i casi si sono osservati aumenti delle patologie respiratorie e tumori polmonari.
Una conferma in tal senso viene da uno studio pubblicato sull’ultimo numero della rivista scientifica Epidemiologia & Prevenzione. L’articolo, a firma di Luigi Castriotta, Anica Casetta e Fabia Barbone si intitola: “La mortalità per tumori tra i residenti nell’area circostante un’acciaieria della zona industriale di Udine”. Si tratta di uno studio retrospettivo che ha selezionato i residenti nel periodo 1989-2012 nell’arco di 5 km dall’acciaieria. Nell’analisi della mortalità si sono selezionati i decessi per neoplasie.
L’area è stata suddivisa in 8 corone circolari a distanza crescente dall’acciaieria. Tra i residenti nelle varie corone circolari sono stati calcolati i tassi di decessi per tumore e per sesso osservati e attesi (in base ai dati generali di mortalità dell’intera area) e i tassi standardizzati di mortalita (SMR) per valutare l’associazione con la distanza dalla sorgente inquinante. La mortalità per tutti i tumori e quella per cancro polmonare sono aumentate nelle aree prossime alla sorgente.
In particolare, entro 2 km dall’acciaieria, nei maschi, si osservano 21 casi di tumore del polmone contro i 13 casi attesi. Lo studio sembra quindi confermare un aumento di rischio nell’area di residenza più prossima all’acciaieria, benché non vi sia una particolare validazione statistica per il piccolo numero di casi osservati e l’analisi richiederebbe pertanto ulteriori conferme. L’acciaieria di Udine produce acciaio mediante utilizzo di forni elettrici e le rilevazioni Arpa Friuli non evidenziano particolari superamenti dei limiti nelle concentrazioni di inquinanti.
Se venisse confermato l’aumento di rischio sanitario perfino nelle vicinanze di una acciaieria come quella di Udine di dimensioni estremamente più ridotte rispetto al siderurgico di Taranto e con un ciclo produttivo certamente meno impattante dal punto di vista dell’emissione di inquinanti, questo dovrebbe portare a valutare con estrema prudenza qualunque ipotesi di riconversione del ciclo produttivo di Ilva, compreso l’impiego dei forni elettrici nella produzione di acciaio. Per una Taranto ormai stanca di morti e inquinamento, qualunque rischio, seppur minimo, sarebbe eccessivo da sopportare.
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