Amianto in Ilva: licenza di uccidere? Che si tratti di una fibra killer lo dimostrano gli studi, le perizie e purtroppo anche le numerose vittime accertate. La legge n. 257 del 27 marzo 1992 fissa le “norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto” e individua “misure di sostegno per i lavoratori” esposti nel tempo al pericoloso materiale. Sono state quelle micidiali fibre a provocare la malattia e la morte di tantissimi operai Ilva, come ha stabilito una sentenza del tribunale di Taranto a maggio 2014. Il giudice riconobbe il nesso di casualità tra il decesso per mesotelioma pleurico e l’esposizione al cancerogeno. Per quelle vittime sono stati condannati 27 ex dirigenti. A giugno dello stesso anno Ilva presentò il primo censimento di materiali contenenti amianto e gli impianti interessati, a cui seguì un secondo report nel 2015.
Il 19 maggio 2015 i tre commissari Ilva Gnudi, Carrubba e Laghi scrivono in una nota che “non risulta agli atti della società un elenco di 1.300 siti con presenza di amianto”, ma “risulta un numero di impianti/reparti interessati pari a circa 40”. Inoltre viene specificato che si starebbe “provvedendo all’effettuazione degli interventi necessari”.
Il 17 febbraio scorso il ministro dell’Ambiente Galletti presenta il piano anti-amianto per la rimozione e la bonifica, che per l’Ilva di Taranto prevede 18 interventi prioritari con un costo di 36 milioni di euro. Come dimostrano invece le immagini di alcuni impianti dello stabilimento Ilva (foto in allegato), poco o nulla è stato fatto e così gli operai continuano a inalare fibre di amianto che si abbattono anche sul quartiere Tamburi, in particolar modo nei giorni di “Wind-day”. L’Ilva è fuori legge perché l’amianto è ancora lì, a contatto con i lavoratori. Per questo la fabbrica andrebbe fermata immediatamente.
“Circolo Vaccarella”, ieri “dopo lavoro dei dipendenti Ilva” gestito dai sindacati, oggi struttura in mano all’Aci di Taranto. Un passaggio avvenuto all’oscuro dei lavoratori. Il Comitato Liberi e Pensanti già nel 2012 ha presentato diverse denunce sulla gestione economica di quella struttura. Esposti alla Procura di Taranto e alla Dia di Lecce di cui ancora non si sa nulla. A che punto sono le indagini? I Liberi e Pensanti chiedono al procuratore Capristo di fare luce sulle zone d’ombra di quella gestione e su eventuali torti a danno degli operai.
La cassa integrazione per 3.300 lavoratori è l’ennesimo schiaffo alla dignità. Solo con la chiusura di tutte le fonti inquinanti, la decontaminazione, la bonifica e la riconversione si può parlare di alternativa. Grazie a fondi europei e regionali si potrebbe formare manodopera altamente specializzata e quindi reimpiegare tutti gli operai. E vista la presenza di amianto, esistono tutti i presupposti per estendere i benefici della legge n. 257 del 27 marzo 1992l, oltre gli incentivi alla fuoriuscita volontaria.
Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti
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