TARANTO – Corpi senz’anima straziati dal tempo, neanche le porte a trattenerne i ricordi. Alcune sono assediate dai palazzi sorti tutt’intorno che hanno consumato i terreni un tempo coltivati a oliveti o vigneti e che ora le sovrastano e le umiliano guardandole dall’alto. Sono le vecchie masserie abbandonate che in qualche caso troviamo addirittura in piena città, come la masseria Solito di via Plateja o quella Ospedalicchio nella via che da essa prende il nome o nell’immediata periferia, come nel caso della masseria Capitignano a Tramontone.
Strutture spesso massicce, interamente in tufo, risalenti in alcuni casi al ‘600 o ‘700, che furono centri vitali del territorio tarantino e riferimento per tanti lavoratori della terra e allevatori nei secoli passati. Strutture che comprendevano la casa padronale e poi stalle e depositi per masserizie, oltre che locali più modesti per la servitù. Spesso erano vere e proprie opere architettoniche di pregio per la presenza di cortili lastricati, torri, chiesette e recinzioni difensive.
Testimonianza storica di una civiltà contadina che non esiste più cancellata anche nelle aree più lontane dalle città dove agricoltura intensiva o monocolture hanno ridotto la terra a luogo soltanto da sfruttare, perdendo con essa qualsiasi legame profondo e affettivo. E allora sono centinaia le masserie e le vecchie case in tufo ormai in abbandono, saccheggiate, sventrate, pericolanti. Visitarle è un viaggio nel tempo affascinante, forse addirittura più di quel che si prova per le strutture simili restaurate.
Abitate fino al dopoguerra, quando avevano già perso ormai il ruolo di riferimento economico per i territori circostanti, negli anni successivi esse hanno visto l’abbandono e la decadenza strutturale ne è stata l’inevitabile conseguenza. Ormai quasi tutte senza tetto e invase da piante infestanti, sono state spesso depredate da ladri senza scrupoli che hanno sottratto portoni di pregio, inferriate, camini in marmo, lavabi, mangiatoie e quant’altro potesse avere valore d’antiquariato.
Un patrimonio inestimabile, una vera e propria memoria storica di un modo di vivere ormai perso e di cui nessuno sembra preoccuparsi. Uno dei tanti, forse innumerevoli, scempi a danno del nostro territorio. Le masserie, indipendentemente dall’appartenenza pubblica o privata, andrebbero tutelate per legge e sottoposte a vincolo da parte della Sovrintendenza ai beni architettonici e culturali e possibilmente andrebbero restaurate in quanto patrimonio collettivo.
Regioni quali la Toscana, l’Emilia, il Trentino hanno favorito il riuso dei vecchi casali, trasformandoli in alberghi, b&b e masserie con agricoltura biologica e sfruttando il richiamo che queste strutture esercitano sul turismo culturale ed enogastronomico.
Potrebbe anche questa essere una potenzialità per Taranto, ricca di veri e propri gioielli architettonici abbandonati che meriterebbero una sorte migliore dell’oblio a cui sono stati destinati. Ci piace immaginare le stanze ormai depredate, esposte agli agenti atmosferici, con gli intonaci cadenti riportate alla bellezza originaria, ridando vita a quelle case, a quei cortili, a quei muri che un tempo furono rifugio e speranza per tanta gente in un mondo difficile e tanto diverso dal nostro.
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