TARANTO – In una situazione di amministrazione straordinaria della grande acciaieria tarantina, imposta con decreto del 21 giugno 2015, è praticamente lo Stato, tramite i commissari nominati dal Governo, che tratta con i gruppi privati interessati all’acquisizione di Ilva. Ed è lo Stato stesso che formula l’accusa – attraverso la Procura di Taranto – e giudica – attraverso la Corte d’Assise – le ex società dei Riva, in un processo il cui esito può condizionare il futuro stesso dell’industria oggetto di cessione. In pratica è come se lo Stato agisse contro se stesso.
È questa la singolare situazione che si verifica a Taranto. È evidente che lo Stato (o meglio il Governo) tenderà a favorire, nei limiti del lecito, condizioni atte ad accompagnare il prima possibile la cessione di Ilva ai privati interessati all’acquisizione togliendosi il peso della gestione di una questione industriale che lo impegna ormai da diversi anni, con notevole esborso economico e danno d’immagine per il Governo.
Proviamo ad immaginare l’ipotesi di una qualunque procura italiana che dovesse formulare un’accusa ad una qualunque società che non fosse stata dichiarata strategica per l’economia nazionale e che non fosse gestita direttamente da commissari governativi: sarebbe la stessa cosa? Non lo sappiamo e siamo certi che Procura di Taranto e Corte d’Assise non subiranno in alcun modo la “pressione” del Governo e che accusa e giudizio seguiranno criteri assolutamente di prassi e congrui alla gravità dell’ipotesi di reato.
Questo è ciò che speriamo e crediamo e confidiamo nella responsabilità e serenità del Procuratore Capo di Taranto e del Presidente della Assise giudicante affinché Taranto, i tarantini e le tante vittime dei presunti reati abbiano quella giustizia attesa da anni. Potrebbe infatti accadere sia che il Collegio dell’Assise competente rigetti la richiesta di patteggiamento complicando così il programma di cessione ai privati dell’acciaieria, sia che lo ritenga accettabile arrivando a sentenza e sbloccando così il sequestro degli impianti.
Quest’ultima ipotesi eviterebbe inoltre alle società sotto processo che dovessero uscire dal troncone originario del processo, di versare, in caso di condanna, i risarcimenti pecuniari alle oltre mille parti offese e porterebbe, grazie alla più mite sanzione pecuniaria prevista nel patteggiamento (certamente molto più bassa della cifra di oltre otto miliardi ipotizzata nella precedente richiesta d’accusa) una boccata d’ossigeno alle povere casse dell’azienda.
Queste potrebbero ulteriormente rimpinguarsi grazie all’accordo tra i Riva, il Governo e la Procura di Milano che, secondo indiscrezioni, prevederebbe un esborso di circa un miliardo e trecento milioni da parte dei Riva e chiuderebbe così i loro contenziosi. A questo punto (previo il trascorrere degli otto mesi di ulteriore commissariamento previsto dal patteggiamento), vi potrebbe essere la cessione ai gruppi privati interessati che continuerebbero l’opera di messa in sicurezza degli impianti e la loro bonifica. Lo Stato si tirerebbe finalmente fuori dalla trappola in cui si trova.
Sarà questo il finale della lunga e tragica vicenda tarantina? E lascerà tutti soddisfatti? Ne dubitiamo, almeno rispetto ad alcuni aspetti. Dubitiamo, per esempio, che la nuova gestione potrà mai effettuare il completamento delle misure previste dall’Aia e in particolare la copertura di parchi minerari. Quest’opera, da sola, costerebbe miliardi di euro e potrebbe non essere sostenibile da un punto di vista economico.
E poi, i nuovi acquirenti saranno davvero interessati alla produzione in loco? O piuttosto mireranno al portafoglio clienti e alle commesse già ricevute? Quando lo Stato avrà lasciato il timone dell’azienda, che garanzie ci saranno per gli operai e la produzione? E quali garanzie ci saranno per Taranto rispetto alle bonifiche e ai risarcimenti? Siamo preoccupati: a Taranto la giustizia sarà comunque ingiusta.
Se da un punto di vista formale il processo terminerà, come pensa la gran parte degli analisti, con il patteggiamento e con le pene amministrative e pecuniarie per le tre società imputate e tale conclusione sarà assolutamente legittima e giuridicamente corretta, nella sostanza Taranto e chi ha lottato per portare Ilva davanti ad un tribunale, non vedrà realizzarsi legittime aspettative di giustizia.
Potrebbero non esserci vincitori in questa vicenda. Non ne uscirebbero bene le vittime dell’inquinamento che hanno subìto danni sanitari sulla propria pelle, non ne uscirebbero bene le istituzioni locali scavalcate ripetutamente dal potere centrale, non ne uscirebbero bene gli operai che potrebbero pagare in termini di ridimensionamento occupazionale, non ne uscirebbero bene le varie associazioni e i tanti cittadini che si sono spesi per anni nella lotta all’inquinamento. Ma soprattutto l’agonia dell’Ilva continuerebbe per qualche anno ancora trascinando la città in una situazione di ulteriore degrado ambientale.
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