“Dovremmo resistere
Dovremmo insistere
E starcene ancora su
Se fosse possibile
Toccando le nuvole
O vivere altissimi
Come due acrobati”
TARANTO – Acrobati. Questo siamo. Come nella canzone di Daniele Silvestri, “siamo in mezzo a queste ali impavide. Non siamo niente o siamo tutto. Lasciarci trasportare è stato facile. Ma adesso ritornare giù non sembrerebbe giusto”. Siamo la generazione di chi deve ingoiare i frutti amari del Jobs Act, gli sfortunati eredi di un’economia suicida e di una politica corrotta fino al midollo che ha deciso di passare lo scettro alle banche e alla finanza.
Acrobati. Questo siamo. Costretti a dividerci tra due o tre lavori per mettere insieme uno straccio di stipendio. Giovani mamme e giovani papà che non hanno più tempo per giocare con i figli (parcheggiati per intere giornate nelle case dei nonni). Chi come noi ha sognato di fare il giornalista in questa stagione si ritrova il campo affollato da giovani senza talento, editori spiantati e senza scrupoli, abili penne sfruttate fino al midollo ed opportunisti dell’ultima ora. La dignità, allora, la si cerca altrove. In altri lavori un soffio meno precari che almeno ti garantiscano una data fissa per lo stipendio e un bonifico su cui contare.
Il mestiere di giornalista, oggi, è una sciccheria per pochi privilegiati: chi ha già un altro stipendio, chi ha le spalle coperte dalla famiglia, chi vive di rendite acquisite in passato. Per tutti gli altri è solo un hobby mal retribuito o per nulla retribuito, a tutto vantaggio di qualche astuto editore che ama farsi bello con la manovalanza altrui. Ma ogni professione, dall’operaio all’impiegato, è ormai segnata dalla precariertà: la dignità del lavoro affidata ai voucher, essere umani col bollino di scadenza, progetti di vita relegati nei cassetti, mutui per la casa e matrimoni vissuti come miraggi.
Acrobati. Questi siamo. Le ore sembrano sempre troppo corte. Le maglie in cui muoversi troppo strette. Le persone su cui contare confinate sulle dita di una mano. Le istituzioni appaiono come sagome opache: a volte mostrano artigli da conficcare nella pelle e nei portafogli, altre volte sono osservatori compiaciuti di una realtà che va a rotoli. Eppure, come canta Silvestri, “dovremmo resistere. Dovremmo insistere. E starcene ancora su, se fosse possibile, toccando le nuvole o vivere altissimi come due acrobati”.
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