TARANTO – Chissà come gli psicologi avranno spiegato i risultati dello studio di biomonitoraggio sugli inquinanti voluto dall’Istituto Superiore di Sanità ai genitori dei bambini oggetto della ricerca che hanno mostrato deficit di apprendimento. Questa incombenza era infatti prevista a corollario della presentazione dello studio al pubblico che vi è stata il 7 dicembre scorso a Roma e che avverrà prossimamente anche a Taranto. Sarà stata, probabilmente, la parte più spiacevole del lavoro dei ricercatori.
Proviamo solo ad immaginare il sentimento di un genitore che dovesse venire a conoscenza del danno, forse permanente, che il proprio figlio ha subìto a causa della vicinanza residenziale alla grande industria. Quelli sulla sfera neuro-cognitiva dei bambini sono effetti tragici legati all’inquinamento che si sommano a tutto ciò che in questi anni si è scoperto attraverso analisi statistiche sulla mortalità, sull’incidenza di patologie più o meno gravi, da quelle respiratorie a quelle cardiovascolari, da quelle renali a quelle infiammatorie, fino ai tumori con i loro eccessi rispetto alla norma.
Il danno neurologico è però forse il più odioso tra tutti perché lede l’essenza stessa della nostra comunità, ciò che di più personale ed intimo caratterizza e rende unico e cosciente ogni essere umano. Una pesante compromissione dell’aspettativa di vita e della sua qualità è ciò che tanti tarantini sono costretti a sopportare, triste risultanza dell’inquinamento che il nostro territorio subisce ormai da decenni.
E in un quadro di danno ambientale diffuso di suolo, falda, mare, aria, poco importa se le attuali emissioni siano considerate nella norma o se siano, come sembra, ridotte rispetto agli anni passati. Ciò che è avvenuto a Taranto è stato un disastro ambientale e sanitario paragonabile ad una guerra durata cinquant’anni che ha fatto probabilmente centinaia di vittime concentrate in una zona ristretta, tanti feriti e che ha lasciato segni indelebili su popolazione e territorio.
Una guerra in apparenza meno tragica di quelle a cui assistiamo purtroppo nel mondo, ma una guerra che ha comunque colpito la popolazione inerme, incolpevole rispetto a scelte effettuate da parte di chi l’avrebbe dovuta difendere meglio. Ci chiediamo, alla luce delle ennesime conferme del danno sanitario che l’inquinamento produce a Taranto, quale sia l’etica della nostra società, della politica che decide, dei centri di potere.
Ancora oggi, a quasi cinque anni dal sequestro di parte degli impianti di produzione dell’acciaieria, si ragiona su ambientalizzazione, adeguamento alle prescrizioni AIA, decarbonizzazione, bonifiche, livelli di produzione che dovrebbero tornare ad aumentare in vista della cessione dell’ilva ai privati che ne acquisiranno la proprietà. Si discute cioè di tutto e del suo contrario, in un vortice di parole, progetti, piani industriali che ci lasciano attoniti, confusi, quasi incapaci di comprendere la logica di una politica che forse vuol solo riempire il vuoto della propria incapacità di decidere.
E non basta la promessa di far giungere denari a Taranto, tanti o pochi che siano: non risolveranno i problemi della nostra città, al massimo laveranno la coscienza a qualcuno e probabilmente finiranno in buona parte nelle tasche di chi ha fatto sempre affari grazie alle scellerate scelte della politica.
Vorremmo cambiamenti concreti, non toppe provvisorie incapaci di risolvere la crisi strutturale della città, la sua economia malata, i suoi problemi ambientali e sanitari e la crisi occupazionale che la grande industria non può certo eliminare ma solo aggravare precludendo altre possibilità di sviluppo alternativo. Ci auguriamo che le prossime amministrative possano portare proposte nuove e convincenti rispetto a vecchie politiche fallimentari che hanno provocato una situazione critica per la nostra città. La vera sfida sarà riconoscere il nuovo smascherando ciò che nuovo non è, in una politica sempre più trasformista e camaleontica.
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