C’è un inquinamento a Taranto che non è solo ambientale ma delle coscienze. E se le coscienze non si smuovono nemmeno di fronte ai danni che l’esposizione ai veleni provoca ai bambini, qualcosa evidentemente non sta funzionando, a qualsiasi livello. «Non vogliono capire quello che stiamo dicendo» risponde Cosimo Nume, presidente dell’Ordine dei medici di Taranto, a proposito «della grave situazione di disagio di questa città». Si rivolge alla politica, all’amministrazione, ai cittadini. Ogni medico ha il «dovere di essere tutore della salute, anche attraverso l’azione civile e di denuncia di situazioni di pericolo per i singoli e per la collettività».
Insieme a Emanuele Vinci, presidente della Commissione ambiente della federazione nazionale e Annamaria Moschetti, presidente della Commissione Ambiente dell’Ordine dei medici, Nume ha posto alcune osservazioni rispetto allo studio di biomonitoraggio e tossicità degli inquinanti presenti nel territorio di Taranto, presentato a Roma mercoledì 7 dicembre. «Non è una confutazione», precisa, perché lo studio dell’Istituto Superiore di Sanità si basa su dati del 2013, quando la produzione dell’Ilva era ridotta e di conseguenza lo era «l’immissione di polveri ed agenti inquinanti». Si tratta invece di «valutazioni» su alcuni aspetti dello stesso studio «da approfondire». Non è quindi sufficiente raccogliere gli esiti di processi dannosi per la salute, occorre fare di più, ovvero battersi per il diritto alla salute. «Non ci interessa definire una soglia al di sotto della quale un fattore inquinante è accettabile, a noi interessa la definizione dell’impatto sulla salute». Per questa ragione Vinci chiede «con forza che per le procedure autorizzative e di verifica sugli impianti esistenti ci sia una Valutazione di Impatto Sanitario (VIS). Altre procedure non hanno impedito che aree definite a rischio di crisi ambientale come Taranto e Brindisi si siano trasformate in aree di disastro ambientale».
La pediatra Moschetti ha poi analizzato le tre parti in cui è suddiviso lo studio. La prima parte riguarda l’effetto delle polveri sulle cellule. «I risultati del test in vitro confermano la presenza di sostanze genotossiche, immunotossiche e proinfiammatorie nella polvere delle zone urbane considerate, ma non dimostrano che la situazione di Taranto sia migliore di quella di Roma». A Roma non ci sono i “Wind Day”, Taranto ha un mix di inquinanti che Roma non ha, i bambini a Roma giocano nei parchi mentre al quartiere Tamburi di Taranto non possono. A due passi dalle ciminiere «non c’è solo una esposizione aerea ma c’è un’esposizione per contatto dermico». La seconda parte riguarda le donne affette da endometriosi, malattia associata alla presenza nel corpo di diossine e policlorobifenili. «Nelle donne di Taranto è stata trovata però un’alta concentrazione di Ipa cancerogeni». Infine, la terza parte: concentrazione di alcuni metalli nei liquidi biologici e nei capelli dei bambini tra i 6 e gli 11 anni residenti a Taranto, valutazione delle competenze cognitive.
Nel 2008 il dr. Pignatelli aveva segnalato ufficialmente un incremento vertiginoso di disturbi dello spettro autistico. Il suo timore era che questo incremento fosse legato agli inquinanti immessi nell’ambiente, e aveva chiesto ufficialmente studi a riguardo. In particolare si associò il piombo al rischio di riduzione del quoziente intellettivo dei bambini. «Non c’è un livello accettabile di piombo, il danno neurologico è irreversibile. Il piombo aumenta la tossicità se associato ad altri inquinanti». C’è un altro aspetto però. «Sotto le ciminiere ci sono persone più povere e meno istruite esposte agli inquinanti. Questo stigmatizza una forma di ingiustizia sociale e ambientale perché come topi in trappola coloro che non sono benestanti non possono allontanarsi dalle fonti inquinanti. Fermiamo l’immissione sulla popolazione di sostanze cancerogene, tossiche e neurotossiche, soprattutto sui bambini. I bambini valgono molto di più dell’acciaio».
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