Varco nord del porto di Taranto, una grossa nave ferma al quarto sporgente, le gru, i nastri trasportatori carichi di minerale in movimento verso la zona industriale. Dal lato opposto al mare e alla banchina le ciminiere, gli impianti, a due passi il cementificio e poi una serie di edifici abbandonati e diventati col tempo scheletri di ferro e «amianto». In questo spazio è stato collocato l’hotspot, una struttura presidiata da esercito e polizia, inaccessibile anche alla stampa, al cui interno ci sono migranti e rifugiati. Più di 10 mila persone sono già transitate da qui. La maggior parte non è sbarcata a Taranto ma è stata trasferita da Como e da Ventimiglia. Questa è una «novità informale», racconta Francesco Ferri, attivista della “Campagna Welcome Taranto” che oggi, insieme ad alcuni rappresentati di #OverTheFortress e S.t.a.m.p., ha convocato una conferenza stampa davanti l’hotspot di Taranto, per discutere sulle politiche di gestione dei flussi migratori sempre più «arbitrarie e ingiuste». L’hotspot è un «luogo grigio, non di diritto, nel quale avvengono prassi informali non codificate dalla legge». Detenzione arbitraria, impronte prese in maniera violenta. È passato un mese dal lancio del report “Hotspot Italia” curato da Amnesty International, che ha denunciato la violazione di diritti umani nei centri sparsi sul territorio, quattro in particolare. Anche a Taranto, secondo le testimonianze di alcuni migranti raccolte a Ventimiglia – «qui è stato difficile fare azioni di monitoraggio» -, non sarebbero mancati trattamenti «inumani e degradanti» a danno di alcuni migranti richiedenti asilo. Il rapporto – denuncia Marcello Tucci del coordinamento nazionale “Progetto migranti” di Amnesty International – parla in modo specifico di utilizzo di «scosse elettriche» provocate dai cosiddetti «manganelli stordenti» usati anche a Bolzaneto, la caserma dove si consumarono violenze nei confronti dei manifestanti del G8 di Genova 2001.
«Oggi non sono tanto le guerre ma i trattati, anche segreti, a mietere vittime». Accordi di «rimpatrio», come quello dell’Italia col Sudan, per i richiedenti asilo che rischierebbero anche la tortura una volta rispediti «con la forza» nel loro paese. Gravi violazioni dei diritti dei migranti nella fase di identificazione, violenze fisiche, selezione arbitraria, sono alcune delle irregolarità riscontrate negli hotspot e denunciate dagli attivisti. «Ad alcuni migranti viene data la possibilità di richiedere asilo e di entrare in un percorso di regolarizzazione, ad altri no. Dipende dalla nazionalità di provenienza, dal colore della pelle, un approccio vergognosamente razzista». C’è chi si ritrova con un decreto di respingimento firmato e un ordine di abbandonare il territorio in sette giorni, vive quindi in condizioni di illegalità, senza possibilità di accedere ai documenti. Poi ci sono i minori non accompagnati, che dovrebbero essere maggiormente tutelati nelle richieste d’asilo. «Un flusso notevole». Molti fuggono per rintracciare la famiglia, rifiutano le impronte foto digitali per svincolarsi dal trattato di Dublino, ma sono soggetti vulnerabili spesso vittime di tratta e di sfruttamento sessuale.
«La priorità del governo italiano ma soprattutto dell’Europa – denuncia Tommaso di #OverTheFortress – è quella dell’identificazione e del controllo delle persone, senza contare i respingimenti differiti». L’espansione del sistema hotspot va di pari passo in Italia con la chiusura delle frontiere del nord. «Fino a due anni fa la percentuale di persone che sbarcava in Italia ma non veniva identificata toccava il cinquanta per cento, oggi siamo al cento per cento». L’Italia e la Grecia sono considerate in questo senso «l’anticamera del sistema dell’accoglienza dell’Europa». Taranto resta una città solidale, con un buon tessuto di associazioni che aiutano i migranti. Occorre una riflessione politica più ampia, «apriamo a Taranto una riflessione sulla situazione giuridica delle persone e qual è il ruolo della città nell’integrazione. Non vogliamo gli hotspot, né qui, né altrove».